giorni felici
Zuzu, la grande giovane voce del desiderio luccicante e drammatico
Un romanzo efficacemente contemporaneo che abbandona l’idea di un autore onnisciente per regalare al lettore la forza immaginativa del dubbio, della scoperta come viaggio interiore
Una possibile fine dell’estate che ha la forma e la luce del mare, del tempo infinito e giovane di un amore appena nato apre la graphic novel Giorni felici di Zuzu (coconino press). Claudia, angelo luciferino e Piero si amano, si sfiorano e si toccano con le mani e con i pensieri. L’inizio vive totalmente nella luce dei colori straordinari e luminescenti di Zuzu che dopo Cheese si conferma, lei giovanissima (nata nel 1996) una delle più straordinarie voci narrative dei nostri anni. Voce fatta di colori e tavole che combinano la temperatura bambinesca del pastello con i colori shocking di una libertà in perenne lotta. Si dice di graphic novel come Giorni felici che abbiano la forza del romanzo: in parte è vero, ma è soprattutto nella capacità di entrare in relazione con i lettori che si evidenzia una qualità diversa e nettissima che fa sicuramente di Zuzu una delle migliori autrici oggi in Italia.
Le sue tavole aprono a mille letture, mentre i dialoghi essenziali sembrano quasi anticipare il lettore, tenerlo accanto. Un romanzo efficacemente contemporaneo che abbandona l’idea di un autore onnisciente per regalare al lettore la forza immaginativa del dubbio, della scoperta come viaggio interiore.
Giorni felici, che è anche il dramma di due atti di Samuel Beckett per cui Claudia deve fare un provino, ha anche una specifica forza cinematografica che ricorda L’amore a vent’anni il film collettivo del 1962 che indagava i giovani dell’epoca con Godard, Truffaut, Wajda, Ophüls e Renzo Rossellini. Ed è evidente la capacità di Zuzu di leggere l’amore impastato di una terribile insicurezza che tiene e a tratti lega una generazione sentimentalmente connessa come un unico grande corpo. Un corpo totale come è quello di Claudia che comprende e invade la pagina, che tocca e succhia, che mangia e uccide.
Leggerezza e tragedia, volontà e impotenza muovono le pagine di Zuzu con una assurda eppure reale frenetica lentezza. La luce dei colori eccita e velocizza i corpi, al tempo stesso rallenta le menti dei protagonisti. Quello che la mente non riesce a controllare e a vedere, i corpi lo affrontano e lo subiscono: dove le parole si spengono, i colori si impongono fino a tramutarsi in un nero assoluto e drammatico.
Giorni felici è il racconto di un desiderio giovane e luccicante che non può mai scendere a compromessi e che si alimenta del suo stesso rischio. Leggerezza e stupida felicità si alternano così a un dramma duro, ad una complessità ottenebrante che confonde e agita Claudia.
La lettura si velocizza sulle parole e frena tra le immagini come d’incanto, come in una sospensione. L’attesa di una possibile nuova felicità, una mutazione che offra una via di fuga, ma anche un motivo per restare. Restare fedele ai propri sentimenti, alle proprie emozioni e in sostanza alla propria felicità necessaria e legittima.
Se Il prologo si apriva con un’incapacità a riconoscere Claudia, Giorni felici si chiude con la sorpresa di una differenza che fa riconoscere, che riporta nel cuore dei protagonisti una felicità lungamente sofferta.
Le lacrime mute segnano le ultime pagine come una liberazione, la natura invade piano piano lo spazio e il mondo inanimato sotto forma di pietre si fa parlante verso un sorprendente finale.
Delicato e visionario, Giorni felici racconta una mutazione possibile che ci coinvolge tutti nell’amore e nella vita, sia in quella privata e intima di ognuno, sia in quella storica e ambientale a cui noi con il mondo apparteniamo.
Racconta dei pericoli che corriamo: di quelli di cui dovremmo avere davvero troppa paura e di quelli che dovremmo invece avere il coraggio di affrontare. E lo fa con la semplicità di due pietre tanto inanimate e dure da mostrarsi infine sensibili e tenere.