Il Figlio
Mille luci di Natale
Sopravvissuta per sbaglio, la testa annebbiata, eppure addobbo l’albero per lei
Quando molti anni fa sono tornata a casa – io, la madre suicida, sopravvissuta per sbaglio – mancavano pochi giorni a Natale. Allora, mossa da quello che sarebbe stato il mio spirito guida per gli anni successivi – farmi perdonare – ho deciso di mettermi subito a decorare l’albero. Un video dell’epoca documenta l’impresa: di nuovo in piedi solo da qualche giorno, eccomi intenta a sistemare le luci, e ogni volta che una nuova pallina è al suo posto arretro di qualche passo per misurarne l’effetto. Intanto, sul tappeto, Greta cominciava a gattonare. Crescendo, l’avrei educata ai canti natalizi e ad aprire ogni mattina di dicembre una diversa casellina del calendario dell’avvento. L’ho fatto per darle calore, qualcosa che sopperisse alla mia scarsa voglia di vivere.
Fino a che non ne ho potuto più, e quello natalizio è cominciato a sembrarmi solo un allestimento molto faticoso: sognavo piccoli alberi da comprare già fatti, nessuno scatolone da cercare in soffitta, almeno per un anno nessuna impresa, pietà, ma ormai era troppo tardi: si era abituata e mi costringeva. E io lì a cercare di dissuaderla: basta mettere qualche lucina fra le piante che abbiamo in casa, guarda che bello il banano illuminato! Niente, non ci cascava. Allora invento degli escamotage: ho scoperto che all’albero finto basta applicare delle buone luci, così non c’è quasi bisogno degli addobbi. I suoi lavoretti fatti all’asilo e le decorazioni prese in giro per il mondo restano in fondo agli scatoloni, quasi non si accorge che non li tiro fuori. Mi sembra che sia tutto eccessivo, in esubero: gli addobbi, il traffico, i regali da fare. Anche il doppio festeggiamento del 24 e del 25, per una volta non potremmo sceglierne solo uno? Nel frattempo, fra un nastrino e una ghirlanda, chiedo a me stessa: quante volte ho fatto delle cose solo per lei? Per il suo piacere, per il mio senso di colpa? E passerà mai, questo senso di colpa? Ha quasi dieci anni, e in questi dieci anni sono state tante le volte in cui non riuscivo ad alzarmi dal letto. Eppure l’ho fatto.
Ne ricordo una, d’estate, il periodo peggiore. Eravamo in vacanza e avevo promesso che l’avrei portata al parchetto. All’epoca aveva sei anni, e già al mattino l’aveva portata al mare la baby sitter, senza che le raggiungessi come al solito. Non potevo sottrarmi ancora. Avevo la testa annebbiata, una sensazione di offuscamento che mi faceva sentire stupida, come se procedessi a rilento. Si può dire che negli ultimi dieci anni della mia vita – periodo più e periodo meno, s’intende, giorno più e giorno meno – io abbia arrancato. Così, arrancando nell’afa di luglio, tenevo la sua piccola mano nella mia. Poi ci siamo sedute entrambe sull’autobus che attraverso curve a picco sul mare ci ha portate fino ad Anacapri, in cima, dove la mia bambina avrebbe potuto giocare nel parchetto più grande così come le avevo promesso il giorno prima, nonostante la mia testa annebbiata. Quando siamo arrivate, ho lasciato che lei corresse verso lo scivolo e mi sono diretta a una panchina all’ombra. Non ho mai potuto permettermi il lusso d’essere una madre apprensiva, che non perde d’occhio i propri figli neanche un attimo. Ero troppo impegnata ad arrancare, oppure avevo la testa nella nebbia. Dopo un po’ Greta si è avvicinata alla panchina dove era seduta, accanto a me, una ragazzina con in braccio una scatola di scarpe. Aveva sul coperchio dei piccoli buchi. Nonostante la mia testa fosse così stanca le ho chiesto che animale contenesse e quando ha alzato il coperchio abbiamo visto una piccola papera. Si chiama Piumetta, dice la ragazzina, e Greta chiede subito di poterla prendere. E mentre scatto una foto a Greta e Piumetta – una delle mie preferite in assoluto, eccola incorniciata proprio qui, accanto all’albero di Natale che anche quest’anno ho fatto senza voglia – mi sento un pochino meglio, come per magia la mia testa si snebbia.