Il Figlio

Tutto il bene, tutto il male. Una storia di legami inscindibili

Carola Carulli

"Era strana mia zia. Tutte le cose che non riuscivano a trovare giustizia per lei erano un’ossessione". Un estratto del libro di Carola Carulli

Quel giorno portava i capelli legati stretti con una delle decine di matite che aveva sparse in borsa. Le servivano per prendere appunti volanti e sottolineare i libri. E per legarsi i capelli, appunto. Li aveva lunghissimi, neri come le ali di un corvo, dritti e lucidissimi. 
Mia zia era piena di oscurità, ma emanava una luce così forte da illuminare il buio fuori e dentro di lei. Era tornata da un set cinematografico molto impegnativo. Il cinema non è solo sogno cara mia – diceva. E’ spesso malaffare, sciatteria e presunzione. Era dicembre, avevo chiesto a mia zia di fare un giro in centro insieme. Dicevano avessi un caratteraccio, il culo grosso e il naso schiacciato. Ero altissima, troppo alta per una donna e avevo il morbo di Crohn. Ero un rifiuto umano con la passione per l’arte. Disegnavo ovunque. Se lo avesse saputo mia madre che di notte andavo in giro per Roma a fare graffiti mi avrebbe ucciso.
Un’artista in famiglia era uno scandalo per i miei genitori, era invece una benedizione per mia zia. Era strana mia zia, con quelle borse a tracolla lunghissime, i calzini corti anche d’inverno e le gambe lunghe che camminavano storte. Sembrava una gazzella, affilata e veloce, con la parlantina che travolgeva tutto.

 

Tu devi darti una svegliata – mi diceva ultimamente. Hai un dono, sai disegnare benissimo! Devi smettere di avere paura di essere quello che sei
Mi portò nel suo minuscolo bar dove andava spesso, gestito da un messicano alto un metro e 40 e con la pancia rotonda. 
Restavamo lì ore a farci raccontare le avventure del Signor Alvaro che ci metteva sempre nello stesso tavolo. Io spesso non capivo granché di quello che si dicevano. Alvaro veniva da Ciudad Juárez.
 - Un palcoscenico dell’orrore, diceva mia zia. A Juárez venivano uccise centinaia di donne. Donne e bambine, violentate e uccise brutalmente. Una carneficina che andava avanti da 20 anni. Ogni volta che Alvaro parlava con mia zia, raccontava di tutto questo inferno.
Prima o poi racconterò questa storia – diceva mia zia. 
Tutte le cose che non riuscivano a trovare giustizia per lei erano un’ossessione.

 

Alvaro era scappato, sua sorella era stata uccisa brutalmente in quella città. Dietro al bar, in un magazzino pieno di fagioli, c’era un minuscolo altare pieno di candele con la foto di sua sorella. Una ragazza con le trecce nerissime e due fiocchi rossi sulla testa. Era vestita di bianco, un colletto di pizzo e una mano con un dito in meno. Quel dito, diceva Alvaro, è stato l’inizio di tutto. 
Flor aveva 15 anni, voleva fare la maestra, il suo corpo non venne mai trovato. Venne trovato il suo dito, riconsegnato al mittente dopo anni di ricerche. 
Voglio fare un regalo speciale quest’anno – disse mia zia – Un regalo a chi, zia? – Vieni con me. Fermò il primo taxi che passava. 
- Hai dietro il tuo zaino con i colori? Arrivammo davanti a un orfanotrofio. Un muro enorme davanti a noi. Io aprii lo zaino e per tutta la notte disegnai senza sosta. La vidi tornare con la macchina, con lei c’era il signor Alvaro. La luce dell’alba rendeva il mio murale  ancora più bello, i fiocchi rossi splendevano in mezzo a quel niente e persino il suo dito mancante sembrava essere una magia. 
Avevo dato vita a Flor.
- Buon Natale Alvaro, disse mia zia. Ci sedemmo tutti insieme a cerchio dinanzi a quel disegno, mettemmo Alvaro al centro e mia zia gli chiese di raccontare ai bambini una bella storia. 
Alvaro fece un respiro profondo e cominciò a parlare:
Si chiamava Flor…
 

Mia zia si chiamava Alma, come anima, e nel romanzo Tutto il bene tutto il male ho voluto raccontare di lei come meritava.

 

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