(Foto di Ansa) 

Il figlio

"Le madri non dormono mai" è una piccola storia che ci riguarda tutti

Giacomo Giossi

Miriam vive in carcere e suo figlio Diego in un Icam, struttura che ospita i bambini mentre i genitori sono dietro le sbarre. Miriam abitua Diego alla crudeltà della vita ma lui ha un dono: capire le persone. Nel coinvolgente romanzo di Lorenzo Marone gli occhi di Diego ci guardano e ci interpellano

Essere gli ultimi della fila, gli ultimi della classe, gli ultimi persino tra gli ultimi richiede una forza particolare. Bisogna avere spalle dritte e reazioni veloci, ma di tutto questo il piccolo Diego pare sprovvisto. Miriam sua madre lo guarda, lo scruta in ogni suo movimento, vede i difetti che nel mondo che li ospita sono tutti segni di fragilità potenzialmente letali. Non si cresce con la gentilezza, ma soprattutto non si sopravvive senza unghie che graffino lasciando i segni di un coraggio disperato ma determinato. Diego vive in un Icam, una struttura che ospita i bambini insieme alle loro madri nel periodo previsto di carcerazione. Detto anche Istituto a custodia attenuata per detenute madri, Icam proprio come una nota fabbrica di cioccolato. Qui Diego cresce in attesa di una vita che non sarà migliore le cui possibilità si orienteranno ostinatamente verso una sopravvivenza si spera almeno pulita, fatta di pochi nemici in assenza di amici. La cella assomiglia a una casa, ma a cosa assomigli la loro casa né Miriam né Diego sanno dirlo. Vengono da Napoli, dai quartieri che quelli del centro chiamano difficili senza immaginare cosa questo possa significare per una donna e per un bambino. A casa loro non esistono buoni o cattivi, ma solo forti o deboli. Bisogna sapersi difendere, questo sa Miriam e questo vuole che impari a fare suo figlio. Ma Diego ha un dono: lo sguardo, legge le persone, le capisce. Abbandonare la tenerezza a soli dieci anni vorrebbe dire per lui perdere la vista, quel tocco leggero che sa di magia. 

 

Lorenzo Marone scrive un libro complesso, non facile e dalla costruzione emotiva mai scontata. Le madri non dormono mai (Einaudi) è la sintesi di un percorso non solo intellettuale, ma anche sociale e civile. Un viaggio che ha portato l’autore napoletano ad una visione letteraria raffinata e sottile. "Le madri non dormono mai" contiene una serie di sguardi sovrapposti che offrono al lettore veri e propri piani sequenza, una visione infatti per certi versi cinematografica che però nulla concede all’uso di una lingua misurata che non deroga mai verso facili scorciatoie linguistiche. Marone vola sui personaggi senza opprimerli, la sua non è una narrazione onnisciente, ma un movimento delicato che accompagna la crescita emotiva dei protagonisti e il loro agire. Gli eventi si susseguono trasformando il romanzo in continuazione, la narrazione si fa sempre più coinvolgente e a tratti drammatica. Il viaggio di formazione di Diego si trasforma così in una navigazione perigliosa che pare infinita, il dopo tempesta non sembra poter esistere nella vita del piccolo protagonista.

 

Marone evita ogni forma di facile emotività, anzi la sua è anche una lucida analisi sociale e antropologica. Una lettura vivida di un contesto che troppo spesso è raccontato da fuori e che qui non si fa mai freddo, ma resta necessariamente lucido. La lucidità  tiene insieme il romanzo nei punti più tragici e che fa de "Le madri non dormono mai" lo specchio del nostro male, ma anche del nostro possibile bene. Miriam e Diego vivono della medesima solitudine che li ha portati a difendersi e a blindare la loro relazione. La paura di perdere l’altro diviene la paura di perdere se stessi, gli errori dell’uno così come le aspettative ricadono sull’altro. Un gioco amaro e a tratti tragico di amore e rimpianti, di dolore e di infinita passione. Tenere a bada sentimenti così potenti non è affatto scontato, dare vita a due personaggi così luminosi ancor meno. Se Elsa Morante aveva l’ambizione di raccontare la grande storia, qui Marone compie il movimento inverso e racconta una piccola storia che ci riguarda tutti e da cui nessuno può chiamarsi fuori. Gli occhi di Diego ci scrutano e ci fissano, ci aspettano e ci obbligano a non lasciarlo solo, a non tradirlo.