Il figlio
Patriarcato negazionista, cultura woke e sesso orale nei bagni. Si può riderne
Il nuovo libro della stand up comedian e sceneggiatrice Giada Biaggi mette a nudo con ironia le storture della narrazione dell'intellettuale (e non) maschio femminista e le contraddizioni di una donna che vive i nostri tempi
Nanni Moretti sfoglia un’edizione illustrata delle sfilate Prada: “Ma lo sai, cara Evuccia, che Miuccia ancora mi offriva panini alla salamella alla Festa dell’Unità?”. Ogni volta che Eva si droga, i riferimenti intellettuali maschili della sua vita si materializzano come allucinazioni nel bagno del suo monolocale a Milano. Nanni, DFW, Heidegger, o Herr Freud che la invita a desistere dalla volontà di suicidarsi. Alter ego e interlocutori, i maschi intellettuali sono l’ossessione di Eva, protagonista de Il bikini di Sylvia Plath (Nottetempo, 16 euro), romanzo d’esordio di Giada Biaggi. Biaggi, stand up comedian e sceneggiatrice, offre qui respiro ai temi che già indaga nei suoi spettacoli e nella sua comic persona sui social: la bionda sexy e intelligente (doppiamente minacciosa), che ha studiato alla Sorbona, figlia putativa di Virginia Woolf e Cicciolina. Abusando deliberatamente di citazionismo e stereotipi, e esasperando un immaginario che è sempre derivativo, Giada Biaggi smonta, deride e rovescia.
Il libro racconta le fatiche di Eva, 27 anni, dottoranda in filosofia con una tesi sulla performance femminista, dipendente dalla cocaina (che si paga “leggendo i romanzi russi su Onlyfans”), dalle poesie di Sylvia Plath lette su YouTube e dalla pornografia. È figlia di una delle ragazze Cin Cin di Colpo Grosso, reinventatasi tanatoprattrice, cioè make up artist dei cadaveri, e di un professore di Cinema e Nazismo assente ma sessualmente attratto dalla figlia. Personaggio perturbante, il padre è origine di tutti i mali di Eva e del rapporto di lei con gli uomini. Tra questi c’è Ludovico, che Eva conosce su Instagram e con cui inizia una relazione di sexting. Non lo incontra quasi mai (lui ha una compagna), ma si innamora di lui e dei loro scambi epistolari in DM colti e eccitanti. Fantastica su un futuro con lui, figli, una villa, un cane chiamato Huckleberry, e applica alla loro relazione eminentemente testuale e extraconiugale sogni concreti. Lui non si espone mai, la tratta male – il massimo della sua premura è farle arrivare a casa un lubrificante Thai Passion con un libro, L’ano del pensiero magico. Eva si innamora nonostante consideri L. il più subdolo rappresentante del “patriarcato negazionista”, o forse proprio in virtù di questo. Curatore di vent’anni più vecchio che lavora solo con artiste donne, è considerato ally (alleato nel linguaggio woke) della grande causa dell’emancipazione femminile, praticamente “una suffragetta con il cazzo”, in realtà è un voyeur e un manipolatore.
La relazione tra i due è un pretesto per raccontare in modo satirico la crisi del maschio intellettuale, articolata in un colorato bestiario di archetipi. Narcisisti, gretti, patetici, eppure Eva ne è sempre attratta e raccoglie da qualunque cretino incontri le briciole di quello che vuole credere amore. Dal suo ex, dj “tropicalista” che le dà di troia berlusconiana perché si sente minacciato da lei; dal professore che va con le studentesse e difende Polańnsky; dal fotografo che le viene dentro e la coinvolge nella sua fanzine su Chloë Sevigny – la comédie humaine raggiunge la sua apoteosi nel glorioso capitolo “La fauna alla Fondazione Prada”. Tratto comune di questi maschi è il prendersi troppo sul serio e una totale incapacità di autoironia. Eva, al contrario, trova nella parodia, nell’autoparodia, e nella performance di sé forza per mettere a nudo le proprie debolezze e le proprie contraddizioni. Anche la più spaventosa: la colpa di essere femminista e poi farsi spingere in un bagno pubblico per fare sesso orale a un uomo che poi se ne andrà senza neanche passarle la carta igienica. “Non basta fare pompini, bisogna farli bene e fingere che ci piaccia”, dice Eva, sincera, dolcissima e orgogliosamente complex female character.