Il figlio
L'educazione moderna delle fanciulle con Louisa May Alcott, amica geniale
Racconti di Natale. Nelle opere della scrittrice piatti e stoviglie si annoiano e prendono vita. E poi l'indipendente felicità femminile. Donne, ragazze, scansafatiche, pettegole e tediate, in un protofemminismo
Bambini poveri e bambini ricchi, ragazze superficiali che imparano improvvisamente dal comportamento inconsueto di un’amica un altro modo, generoso, di stare al mondo. Genitori indigenti che prima di pensare ai figli, si danno da fare per quelli più bisognosi di loro. Sono i grandi temi di Louisa May Alcott, che in Piccole donne hanno trovato una dimensione strutturata e romanzesca, ma vivono perfettamente in questi brevi racconti – quasi tutti inediti in italiano – raccolti anche quest’anno da Clichy (siamo al terzo appuntamento natalizio) col titolo Storie di Natale, Terzo volume (214 pagine, 14 euro. Traduzione: Francesca De Luca e Giovanni Maria Rossi, che firma l’introduzione). Non solo storie inventate, veramente, visto che il libretto si apre con i Ricordi della mia infanzia in cui la ritroviamo intera Alcott con la sua volontà di ferro, la determinazione precoce a fare qualcosa di se stessa, a uscire dall’inferno miserabile delle sue origini, a scrivere.
“I libri sono stati la mia maggior consolazione, costruire castelli in aria un piacere mai abbandonato”.
Scrivere scrivere scrivere. Ci riuscirà ben presto: i giornali si contendono questi suoi racconti, la pagano poco, la sfruttano, ma non importa. Lei è disposta a tutto pur di mettere insieme qualche soldo, che poi non spende per sé, ma per aiutare la famiglia.
È disposta a sacrificare il suo genio, a farsi confinare dall’editoria nella letteratura per ragazzi (confined to juvenile literature, dice di se stessa). E quanto genio avesse a disposizione lo dimostrano anche queste piccole storie, mai banali, dove mescola fantastico e vita quotidiana, come in La festa dell’argenteria in cui il giovane Tony, aspettando che si vada a tavola il giorno della festa del Ringraziamento, assiste a un emozionante prodigio: nella sala da pranzo vuota, sulla tavola già apparecchiata, piatti e stoviglie - che si annoiano quanto lui – prendono vita e organizzano un piccolo sabba. Ballano, girano come trottole alla musica che fanno i bicchieri di cristallo. E intanto discutono, sulle nuove generazioni, in particolare femminili. Di quanto sono cambiate le loro abitudini. E la conclusione è profondamente alcottiana, ovvero femminista con grande anticipo sui tempi.
Dice infatti una cucchiaia da minestra: “È molto meglio per loro ballare, pattinare e studiare che non sprecare le proprie giovani vite rammendando e facendo conserve, e sedere accanto alle loro mamme compassate come stoviglie”.
Perché se c’è – e non può non esserci, siamo in pieno Ottocento – un immancabile fervorino edificante in questi racconti, va a tutto onore di Alcott non percorrere sentieri scontati, ma approfittarne sempre per arare il campo che le sta a cuore. Quello della libertà delle donne e di una loro progressiva indipendente felicità.
Persino – come nel Segreto di Sophie – quando tutta l’impostazione del racconto è in qualche modo edificante, Louisa May Alcott trova la forma e le parole di un vivace realismo per allontanarsi da moduli prevedibili e raggiungere lo scopo: l’educazione moderna delle fanciulle. Qui c’è un gruppetto di giovani scansafatiche, un po’ pettegole e annoiate, che non vengono a capo dei misteri della loro amica straniera Sophie. Quando ne scopriranno la bontà a favore di un’altra ragazza dal destino sfavoritissimo, ne saranno ammirate aprendosi a un nuovo modo di vedere il proprio futuro
Ma, ci si potrebbe chiedere, sono in grado di parlare ai bambini di oggi queste storie? Misteriosamente sì, visto che i volumi precedenti continuano a essere ristampati. La sintonia di Alcott col suo giovane pubblico non ha ancora perso colpi.