Il figlio
Addio albero di Natale, ogni giorno più storto. Progetti per oggi
Breve inchiesta sulla carta igienica e una preghiera alla Befana: riportali nel mondo
Da giorni guardo con commiserazione e antipatia l’albero di Natale e lui sa perché. Ogni anno diventa più brutto e più basso, ha detto mio figlio a un amico venuto a ritirare il regalo di Natale in ritardo, l’ultimo rimasto sotto l’albero brutto e basso. Il regalo era una papera con le tette, o qualcosa del genere che ho preferito non guardare, ma loro erano esaltati e spargevano zucchero di pandoro e ridevano di quell’albero stremato. Che cos’ha il mio albero che non va? Non ci avevo mai badato, ma quella frase mi ha colpito: ora lo vedo anch’io che è storto, affaticato, un po’ gobbo, i gatti ne hanno fatto scempio ai tempi d’oro, arrampicandosi fino in cima, buttando giù tutte le palline e adesso non lo degnano di uno sguardo, si sono annoiati anche loro. Le decorazioni sono piene di morsi, però. C’è un bambino sugli sci senza più gli sci. C’è una vecchietta senza testa, un cavallino a dondolo senza dondolo, un elfo senza un occhio.
Sei finito, albero, penso. Sono finite anche le feste, del resto, questa di oggi è l’ultima ma alla Befana non serve l’albero di Natale e forse dovevo toglierlo di mezzo prima, per pietà. L’albero addobbato male, insieme ai resti di panettone e pandoro uniti insieme nel sacchetto sul tavolo della cucina: non è forse tutto un segno di esasperazione, il segno che la scuola deve ricominciare al più presto, il segno che questi ragazzi devono levarsi di torno?
Fatevi una doccia, per pietà, e uscite di casa, portatevi gli zaini, restate fuori a pranzo, occupate il liceo se non è ancora occupato e dormiteci la notte, andate in gita, andate a fumare di nascosto, prendete le chiavi, tornate tardi, no non è abbastanza tardi: ho detto più tardi. Io intanto smonto l’albero, metto Guccini a tutto volume che con gli adolescenti in casa non si può più ascoltare senza essere guardati come scarafaggi, riprendo possesso di quello che è mio. La sera di Capodanno ho bruciato un foglietto con un desiderio, insieme ai foglietti con i desideri di tutti gli altri. Ora non posso rivelarlo, altrimenti non si avvera ed è un desiderio molto importante, segretissimo, scandaloso, ma forse non è il desiderio giusto. Dovevo desiderare di riavere una casa, uno spazio, un posto in cui stare che comprenda anche un bagno provvisto di carta igienica.
Vorrei chiedere: i vostri figli, se finiscono la carta igienica, aprono un armadietto poco lontano e la rimettono nuova o non ci pensano proprio e lasciano in bagno, magari per terra, quel povero cilindro di cartone che mi fa più rabbia dell’albero di Natale? I vostri figli, se c’è un altro bagno, magari il bagno della madre stanca, cieco e minuscolo e con un problema di acqua calda ma soltanto suo, scelgono di aprire l’armadietto poco lontano per prendere il nuovo rotolo di carta igienica o preferiscono entrare nel bagno della madre stanca eccetera per rubare la sua? Sono cose di poco conto rispetto all’immensità del tutto, ma è con un cilindro di cartone per terra dopo l’altro che è arrivata questa Befana e che l’albero è diventato insopportabile. Allora, poiché i figli contestano Guccini e il dovere della carta igienica ma pretendono la calza della Befana anche a quarant’anni, io questa calza la compro gigantesca, la più grande che c’è, e la riempio tutta, ci metto anche tre paia di mutande, i guanti, uno spazzolino da denti, un libro no, tanto a che vi serve, qualcosa per la pioggia, e vi invito a tornare al più presto nel mondo. Scendendo, potete portarvi l’albero di Natale?