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il figlio

La delusione che si ammucchia come polvere. Un racconto inedito

Massimiliano Virgilio

A un certo punto, mia moglie e io abbiamo pensato che avremmo voluto un figlio. Dopo anni trascorsi a leggere, studiare, lavorare, viaggiare, fare aperitivi, partecipare a riunioni che avevano come scopo quello di migliorare il pezzo di mondo che avevamo attorno, ci siamo detti: “Ma sì, facciamolo"

A un certo punto, mia moglie e io abbiamo pensato che avremmo voluto un figlio. Dopo anni trascorsi a leggere, studiare, lavorare, viaggiare, fare aperitivi, partecipare a riunioni che avevano come scopo quello di migliorare il pezzo di mondo che avevamo attorno, ci siamo detti: “Ma sì, facciamolo.”
All’epoca, la nostra relazione era una superficie di vetro limpida. Ritenevamo di essere speciali, di poter vivere la nostra vita senza diventare come gli altri, senza perderci e trasformarci, come avevamo visto succedere a tante altre coppie con figli, in ditte ambulanti di obblighi e poppate che portano avanti se stessi e la loro relazione fino a sbiadire. Noi no.

 

Avremmo avuto un figlio e avremmo continuato a vivere di bellezza e sogni sciupati. Il nostro pezzo di mondo non ne avrebbe risentito, anzi, avrebbe guadagnato un soldato in più alla causa: il nostro bambino. Non è arrivato. Ogni mese covavamo la delusione, piccole dosi di veleno instillate nelle vene aperte di un’antropologia familiare che nemmeno due lauree e una vita bohémienne erano riuscite a scalfire.

Lì c’è stata una mossa sbagliata: lasciare che la delusione si ammucchiasse come polvere negli angoli. Andrà bene il mese prossimo, ci dicevamo. Intanto, la crepa si allargava. Di solito, a questo punto, i racconti che parlano degli infruttuosi tentativi di procreare si fanno ansiosi e drammatici. Il ticchettio dell’orologio biologico diventa un’ossessione. Poco alla volta i figli degli altri diventano dei nemici, i loro genitori si trasformano nei pretoriani delle nostre frustrazioni.
A noi non è successo.

 

Ci è accaduto di nutrire un desiderio, di provare a realizzarlo, di partecipare con gioia alla genitorialità degli altri, continuavamo la nostra vita. Ci ripetevamo di continuo: “Vabbè, se viene viene. Mica ce l’ha prescritto il medico!” Il secondo atto della nostra trasformazione in non-genitori è stato perderci nei vicoli stretti della nostra purezza. Il vetro è andato in frantumi. A farci imboccare la strada del rancore ci ha pensato la pandemia. Nemmeno sapevamo che cosa significasse la parola. Pandemia. Qualcosa di brutto che succede a tutti ovunque nel mondo.


Eravamo così persi nella nostra storia privata da aver perso di vista quella collettiva. Un mondo di macerie e sofferenze stava germogliando attorno ai nostri desideri personali, il contrario di ciò che eravamo stati fino a quel punto. Un giorno, mentre ci preparavamo all’inseminazione, ci hanno chiamato dall’ospedale per dirci che l’inizio della procedura sarebbe stata rinviata a tempo indeterminato. Tutti gli interventi non urgenti sarebbero stati riprogrammati più in là, quando le persone avrebbero smesso di morire.

 

Quando la biologia dei nostri organismi quarantenni ha fatto il resto, abbiamo iniziato a fare i conti con il lutto di quanto non sarebbe più successo. Non avremmo più avuto un figlio biologico. Il tempo era finito. Da lì in avanti è iniziato un’altra storia riassumibile con un’espressione efficace, che una volta ho ascoltato dal sociologo del Censis, Giuseppe De Rita: “Il rancore è il lutto per ciò che non è stato”.
La superficie di vetro è diventata l’assemblea su cui convocare i nostri demoni. È stata dura, ma alla fine abbiamo azzeccato la mossa giusta: non ci siamo distrutti a vicenda. Siamo diventati due congiurati. Abbiamo rovesciato il mondo e dopo averlo rimesso a posto siamo tornati a ripopolarlo. Sull’Arca di Noè ci siamo saliti soltanto in due.

Oggi vorrei poter dire che lo abbiamo fatto per intelligenza, per cultura, per amore. Forse sono state le stesse istanze di quell’antropologia familiare a cui per anni abbiamo cercato di sfuggire a offrirci le chiavi per una via di salvezza. Non so. So che avevo voglia di raccontare due amanti contro il mondo e dentro il mondo: due adulti costretti ad attraversare l’inferno e uscirne vivi. Scoprendo di non essere speciali. Il resto è una storia privata che non finisce qui.

Massimiliano Virgilio, racconto inedito per il Figlio
 

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