il figlio
Il coraggio di due madri, nonostante i vicini di casa impiccioni
Dove vai, ragazza? Mettere un figlio al riparo dalle intemperanze della sfortuna
All’ospedale Buzzi e alla clinica Mangiagalli di Milano ci sono adesso due neonati, un bambino e una bambina, che stanno bene. La piccola era in leggera ipotermia, ma era nata da un’ora soltanto in un capannone fuori Milano: l’hanno messa subito al caldo. Grazie a sua madre, che l’ha salvata. Ha portato quella bimba nella pancia per nove mesi, l’ha nutrita, protetta, forse perfino nascosta agli occhi degli altri e infine l’ha messa al mondo. E ha chiamato il mondo, cioè l’ambulanza, il 118, per affidargliela. Come è successo a Enea, che è nato in ospedale come ulteriore gesto di cura e di amore. Due condizioni diverse, due vite lontane, due madri (in questa storia non ci sono padri, anche gli appelli al ripensamento sono stati fatti soltanto alle madri) di cui già sappiamo troppe cose (età, senza fissa dimora, rifiuto di dare il nome alla bimba, generalità infine fornite) e di cui crediamo di dover sapere tutto, anche il dolore e la voglia di cambiare idea. Quanti anni hai, piccola cara? Guarda che non sarai sola, ci siamo qui noi per te. Ripensaci, tesoro, ti aiutiamo noi. Dove vai, ragazza? Torna qui, il tuo bambino ha diritto a una mamma vera.
“Mamma vera” è la cosa che mi ha infastidito di più, in questo affastellarsi di buone intenzioni di cattivo gusto. Se mi affidassero Enea o la piccolina nata qualche giorno dopo, non sarei sua madre vera? Sarei una matrigna cattiva, sarei la strega di Biancaneve? No, sarei la sua mamma vera, e ringrazierei per sempre la madre che quel giorno di Pasqua ha lasciato Enea in un posto sicuro. Sarei la sua mamma vera, come sono vere le madri (e i padri) ritenuti idonei all’adozione che un bel mattino ricevono una telefonata in cucina dal Tribunale dei Minori e per la gioia cascano dalla sedia e sbattono contro le porte. L’ho visto succedere e non ho mai pensato che il mio amico in lacrime quando la sua bambina ha avuto la polmonite fosse un padre finto. Madre finta a chi? Perfino la strega di Biancaneve, ormai lo sanno tutti, era la sua vera madre.
Queste due donne, che io mi immagino sole per un vizio di immaginazione e non per un dato di realtà, hanno salvato i loro bambini affidandosi alla legge, allo Stato, ma anche alle rassicurazioni giudicanti di una società che ripete di continuo quanto i figli sono preziosi, quanto è preziosa la maternità, quanto bisogna superare gli ostacoli che ci impediscono di vivere una vita liberamente piena di figli. E infatti appena hanno esercitato la loro scelta libera, anonima e responsabile di cui non abbiamo il diritto nemmeno di indagare il tormento, sono state raggiunte da mille occhi e mille mani e mille tentativi di normalizzazione. La madre vera che ritorna sui suoi passi perché convinta dalla generosità degli altri, ecco il lieto fine della favola con la ragazza spaurita che prende coraggio e non scappa più. Ma queste due donne hanno già avuto molto coraggio e noi dobbiamo ammirarle, invece di fare come le vicine di casa impiccione, quelle che dicono: ma non lo allatti? Ma lo allatti ancora? Ma non lo prendi in braccio? Ma lo prendi così tanto in braccio? Molte altre donne in Italia hanno, nonostante gli impiccioni, questo grande coraggio di portare a termine una gravidanza e poi fermarsi, assicurarsi che sia tutto a posto, che ci saranno braccia calde e occhi buoni per questo bambino, per questa bambina. E che nessuno gli farà del male. Che il posto che avrà sarà migliore, sarà più sano, sarà più dolce e soprattutto più sicuro. Al riparo, per quanto sarà possibile in quel preciso momento, dalle intemperanze della sfortuna e del desiderio. Ma dentro la vita, cullati ogni notte da braccia calde.