Il Figlio
Finalmente le città sono invase dalle gite scolastiche. Era ora!
Le scolaresche riportano vita sulle strade, dalle urla alle risate. Dopo due anni di grigio il mondo a poco a poco riprende i suoi colori
Cara scuola, finalmente ce l’hai fatta: per le strade e sui treni sono riapparsi i ragazzi in gita scolastica. Me ne sono accorta una mattina, ero ferma al semaforo e aspettavo il verde, avevo la faccia tuffata dentro il telefono quindi non mi guardavo intorno (no, non ho intenzione di disintossicarmi) e non riuscivo ad attraversare la strada per troppa folla. Avrei potuto rimanere lì per sempre senza accorgermene, ma ho sentito come un trillo di campanellini e ho alzato gli occhi (no, non può considerarsi una disintossicazione), così li ho visti: decine di ragazzine saltellanti, ridenti, abbracciate, con gli zaini piccoli sulle spalle o le borse a tracolla e i capelli lavati un minuto prima di salire sul pullman o sul treno della gita a Roma, della gita a Torino, della gita a Milano, della gita a Ferrara. Improvvisamente tutte le città sono in festa, con professoresse che urlano: quante volte vi ho detto di attraversare sulle strisce?, e i ragazzi con la voce un po’ roca dicono: scusi prof., e con un balzo sono già dall’altra parte della strada, attenti a camminare a braccia e gambe larghe, come se fra quelle braccia e il corpo ci fossero dei mattoni da non far cadere, per non essere confusi con i pivellini delle scuole medie che ancora camminano diritti.
Le professoresse hanno sempre in mano un ombrellino pieghevole, anche in posti funestati dall’emergenza siccità, e i professori un cappellino sgargiante per farsi riconoscere dagli alunni nella folla, dicono, ma in realtà trovano quel cappellino davvero bello e forse sono consapevoli che per il resto della vita resteranno impressi nei ricordi dei loro alunni laureati, sposati o chissà che, con quel cappellino sgargiante sulla testa. Anche nelle foto, i professori non si tolgono il cappellino sgargiante. Sorridono con intensità davanti alla fontana di Trevi. Sorridono con terrore davanti al canale di Venezia in cui un ragazzo sta per cadere. Sanno che è un momento assoluto. Dentro la fatica, il nervosismo, le bottigliette d’acqua, la fila ai musei, la compagna bionda che ha un calo di pressione e sviene sullo zaino di quello che le piace, c’è adesso la sensazione che stare insieme sia una cosa ancora più importante, una cosa che era sparita e adesso è tornata. Sparendo, ha provocato delle conseguenze: la scuola era diventata grigia, i professori erano diventati grigi, i ragazzi vedevano tutto grigio.
Ci sono state delle vittime, ci sono ancora delle vittime di questo grigiore forzato, di questa paura che ci è entrata nelle vene e che si è presa almeno due anni delle vite dei nostri figli. Il mondo deve ricolorarsi a poco a poco. E salire sul treno e trovare tutte le carrozze occupate da quattro gite scolastiche diverse è uno dei migliori contrattempi che si possano incrociare. Sempre con la faccia nel telefono mi siedo nell’ultimo posto libero, fra tre ragazze di diciassette o sedici anni che non smettono di ridere, certo ridono anche di me. Voglio sapere tutto: perché lei ha lasciato lei che si è messa con lui che però non si fida e fa lo scemo con l’altra, “e però stasera cerchiamo di stare in stanza insieme, diciamolo alla prof.”. Cominciano le urla per chiamare la prof., che arriva con l’ombrellino in mano (ma siamo in treno! Non piove!) e ascolta le richieste, alza gli occhi al cielo e dice: su, ragazze, non disturbate la signora che legge. La signora che legge? Dov’è questa signora arcigna, insopportabile? Sarei io? Che dolore professoressa, la prego, io non voglio leggere, glielo giuro, tenetemi con voi, ragazze, portatemi in gita.