Enzo Tortora con le figlie Gaia e Silvia (Ansa)

Il Figlio

Una famiglia spezzata e il sorriso che copriva il dolore di Gaia Tortora

Giacomo Giossi

L'arresto di Enzo quando aveva 14 anni, una storia troppo grande per una bambina con un padre protagonista di uno scandalo giudiziario che segnerà per sempre la storia della Repubblica. Ora raccontata nel memoir "Testa alta, e avanti"

Gaia ha da poco compiuto 14 anni il giorno in cui il padre, Enzo Tortora, viene prelevato dai carabinieri verso le quattro del mattino all’Hotel Plaza di Roma con l’accusa di far parte della Nuova Camorra Organizzata di Raffaele Cutolo. L’accusa è quella di rifornire di droga il mondo dello spettacolo. Gaia vive con la sorella Silvia e la madre da cui Tortora si è separato poco dopo la sua nascita. Quel giorno è il 17 giugno del 1983 e Gaia deve dare gli esami di terza media. Lo farà per prima, per una forma di premura pensata dalla madre e dai professori. Sarà forse l’ultima premura possibile per Gaia prima di venire fagocitata in una vicenda terribile. Una storia troppo grande per una bambina con un padre da sempre un po’ distante e ora protagonista di uno scandalo giudiziario che segnerà per sempre la storia della Repubblica. Enzo Tortora diviene con il suo stesso corpo il simbolo di una mala giustizia criminale e cialtrona, figlia di un paese dalla democrazia fragile come anche la grossa maggioranza dei media dimostrerà, con atteggiamenti pigri, sarcastici e cinici. Saranno pochi per non dire pochissimi a distinguersi cercando per altro facili riscontri di innocenza tra le carte processuali.

 

A difenderlo l’amico di sempre Piero Angela, Enzo Biagi e Vittorio Feltri, ma poche furono anche le figure del mondo della cultura a difendere un giornalista e conduttore televisivo colto eppure popolare come Enzo Tortora (tra loro bisogna ricordare la posizione ferma di innocenza di Federico Fellini), come se lo snobismo avesse diritto di parola di fronte all’imprigionamento di un uomo innocente. Dal giorno dell’arresto del padre Gaia indosserà un sorriso ingannevole buono per rassicurare e nascondere un dolore terribile e impossibile da esplicitare che ora trova spazio nell’intenso memoir Testa alta, e avanti (Mondadori, 144 pp., 17,50 euro).

 

In questo libro Gaia Tortora ormai affermata giornalista racconta di sé bambina, di quel dolore assurdo che l’ha segnata nel corpo come nelle scelte di vita. Il sorriso di Gaia è quello di una bambina che sembra restare allegra e spensierata nonostante tutto quello che attorno sta accadendo, ma in realtà non è altro che una copertura, il tentativo ingenuo per non crollare di fronte a fatti incomprensibili. Gaia attraversa gli anni Ottanta, quelli che tutti ricordano per la spensieratezza, nella ricerca di se stessa e di un padre con cui proprio ora sarebbe stato bello parlare e con cui può invece comunicare solo attraverso lettere controllate da dei carcerieri. Il padre la rassicura e la sostiene, mentre lei compie gli sbagli soliti di quell’età, ma con un senso di colpa e inadeguatezza che non sembra avere possibilità di cura e che l’affligge fino all’orlo dell’anoressia. Testa alta, e avanti è così la storia di una famiglia spezzata e allargata al tempo stesso.

 

La storia di un padre che divenne sinonimo di dignità e onore di fronte allo squallore di uno stato colpevole, ma anche di una bambina in lotta per la salvezza del suo cuore e del suo corpo. Due storie maledettamente a corto di tempo: Tortora verrà assolto il 15 settembre 1986, sentenza poi confermata dalla Cassazione nel 1987, solo un anno prima di morire. Nemmeno il tempo di crescere con lui, come aveva sempre immaginato Gaia. Ma Testa alta, e avanti è anche il ricordo della sorella maggiore, Silvia, mancata nel 2022, che nei giorni dell’arresto si fece carico di difendere il padre dalle ingiurie e negli anni successivi di proteggerne la memoria. “In fondo è tutto qui: essere attenti agli altri. Garbati, avrebbe detto mio padre. Di buonsenso, aggiungo io”.

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