In "Vieni tu giorno nella notte" di Cinzia Leone palpita la vita
Un romanzo che vuol dirci che ogni esistenza è copertura di non detti. Una storia ambientata in un Israele dove “il passato è un eterno ritorno”, ma un ritorno che a sua volta è salpare verso nuove forme di vita
La morte improvvisa riunisce e separa. Come fanno i lutti più gravi, il dolore di aver perso una persona cara all’improvviso disegna nuovi arcipelaghi di relazioni, cambia trame di psicologie intime, definisce nuove scelte, nuove aperture. Quando il giovane Ariel resta vittima di un attentato terroristico (a causa dell’autoesplosione di un kamikaze palestinese in un caffè a Tel Aviv) la rete di reazioni che la tragedia della sua morte imbastisce si dipana intorno a nozione di novità. Tutto è nuovo, se pure impregnato di passato, nella trama romanzesca che Cinzia Leone (Vieni tu giorno nella notte, Mondadori) crea e domina con piglio sicuro.
Un romanzo “israeliano”, per ambientazione e stile (certe pagine rievocano i libri di Yehoshua, per costruzione d’impianto e assemblaggio di punti di vista finzionali). E vicenda che ha sapore di nemesi: perché la traumatica scomparsa del giovanissimo figlio solleva nei due genitori, Daniel e Micol accorsi da Roma per piangerlo e trasecolare dell’assurda perdita, domande che sono domande su estraneità e appartenenza. Appartenenza a una terra, tanto quanto a sé stessi. Lui, Ariel, aveva lasciato l’Italia per trovare in Israele un altro sé. Loro, madre e padre da tempo separati per quanto loro malgrado ancora legati, arrivando in Israele si trovano a fare i conti con segmenti delle rispettive vite non contattati abbastanza. Come accade, il dramma di un lutto inatteso è una slavina. Dal terreno limaccioso dei tanti non detti che costellano ogni vita, porta in superficie segreti, scorie di sentimenti inespressi o prima ancora neppure messi a fuoco; tensioni interpersonali, e l’amore inespresso che può appostarsi dietro quelle stesse tensioni. Nel segno della mancanza di chi non c’è più, spazzato via da una deflagrazione casuale e insensata come tutto lo è in un frangente politico tesissimo da sempre, ecco nuovi incontri, folgoranti scoperte circa le vite altrui, rivelazioni impensabili sino a pochi giorni prima, uno stato di perpetuo disorientamento che è anche in modo implicito condizione di stupore, meraviglia, un grande grazie alla vita. Nel segno della perdita, l’intersecarsi della vita politica con quella personale (uno dei protagonisti arriva da Jenin, è druso, e la difficoltà della tensione interrotta che in Israele alita sulla vita di tutti si riverbera con verosimiglianza sulla vicenda).
Un romanzo che vuol dirci che ogni esistenza - sia che trovi piena espressione, sia che si impigli nel suo proprio enigma - è copertura di non detti. Una storia ambientata in un Israele dove “il passato è un eterno ritorno”, ma un ritorno che a sua volta è salpare verso nuove forme di vita, nuove edizioni di sé stessi, nuove possibilità di quella salvezza basilare che è l’incontro con un altro nel quale specchiarci, e accettare quello stesso altro.
La forza del romanzo sta nei personaggi scolpiti con precisione, ognuno con il suo lutto, la sua lancinante nostalgia di Ariel che come una dinamo aziona una nuova visione (e revisione) delle cose. Il giorno nella notte (il titolo è shakespeariano) irrompe forse a ritmo un po’ corrivo, le cose trovano soluzione luminosa secondo schemi che nella vita vera hanno spesso architettura più complessa e lenta.
Ma è un libro in cui palpita la vita, la vita come sgomento davanti all’ingiustizia della morte, e che per questo si legge con curiosità anche famelica, pagina dopo pagina. Agile scrittura quella che Cinzia Leone utilizza per tratteggiare l’intreccio che ha inventato, insieme agli affluenti delle sue microstorie a corollario; e scrittura che non manca di pillole di saggezza, come quelle che scandiscono gli incipit dei diversi capitoli. Saggezza di perdita, e di ricominciamento.