Il Figlio
Il reato di pensare ai fiori senza meritarli. Suona il citofono
Briciole, appunti sparsi, video su TikTok, antipulci e all’improvviso la fine di tutto
Ieri mattina, alle sette e trenta, ero in casa da sola. Ero sveglia da molte ore e mi stavo preparando a una giornata impegnativa. Il mio personale modo di prepararmi a una giornata impegnativa è prima guardare il soffitto sdraiata a letto, poi guardare il vuoto seduta al tavolo della cucina, con il caffè che diventa freddo nella tazza e con i gatti che cercano di colpirmi con zampate sulla faccia. Ma ieri non potevo permettermi il lusso angoscioso di fissare il vuoto, e nessun gatto mi faceva compagnia ansiolitica nell’imminenza della catastrofe. Quindi stavo lavorando: appunti disordinati, briciole, computer che sta per scaricarsi e non trovo il cavo, quel messaggio che minaccia di spegnere tutto se non ti colleghi subito all’alimentazione, il mal di testa che preme sull’occhio destro, vocali dei miei figli che chiedono soldi per il veterinario, il teatro, la lettiera, i regali dei diciott’anni, i regali dei quindici anni, il Romix, il libro di Geografia comprato sbagliato, l’antipulci, il motorino. Il motorino non esiste, questa è l’unica certezza che ho. Nessuno naturalmente mi chiede: come stai? Non dico: in bocca al lupo mamma, ma almeno un: ciao. Niente, a parte i soldi urgentissimi e una lite su chi dovesse portare fuori il cane il pomeriggio. Si ragazzi, anche io vi voglio bene. E di nuovo briciole, appunti, paralisi degli arti, un po’ di TikTok per consolarmi: mi piace molto guardare le persone che puliscono la cucina con prodotti stratosferici che chiaramente non esistono, ma non mi importa, li guardo, li invidio e mi rilasso.
A un certo punto però suonano alla porta, anzi al citofono, erano le otto, e poiché in questa casa dove mi trovo adesso, in questa città dove mi trovo adesso non era ancora mai successo che qualcuno suonasse alla porta, ci metto un po’ a trovare il citofono. Intanto penso: chi può essere? E in questo mio davvero assurdo ottimismo mi convinco che devono proprio essere i miei figli, che non hanno detto nulla ma mi hanno mandato dei fiori. Un pensiero totalmente estraneo alle possibilità del reale, subito sostituito dal pensiero: sarà mia madre. Ma comunque nel mio cervello si sono materializzati dei fiori e quindi mi preoccupo di non avere un vaso. Penso: li metterò dentro una pentola, e alla fine di questa giornata impegnativa comprerò un bel vaso.
Ero molto fiera di questa soluzione così veloce. Ho detto il pronto più soave che riuscissi a trovare, un pronto pieno di fiori profumati. Dall’altra parte del citofono una voce maschile ha detto: apra, polizia. Ho aperto. Sono rimasta in piedi accanto al citofono ad aspettare la polizia, cioè ad aspettare di essere arrestata. Non so per cosa, ma non importa: la mia giornata impegnativa sarebbe stata impegnativa in un altro senso. Ho guardato la casa, il caffè freddo, il computer scarico, le briciole, gli appunti, e mi è sembrato tutto meraviglioso, perché stavo per perderlo. Pochi minuti, il tempo di salire le scale. Pochi minuti, il tempo di chiamare mio marito. L’ho chiamato, mi ha detto: ti richiamo, ora non posso, e ha messo giù. Ma forse sta salendo la polizia perché ho messo la bustina del tè nell’indifferenziata? Perché ho creduto nei mazzi di fiori senza meritarli? Va bene, se questo è il mio destino gli vado incontro a testa alta. I minuti passavano, e non succedeva niente, nessun campanello, niente pugni contro la porta. Mi sono anche innervosita. Dopo mezz’ora, ho capito che nessuno mi stava cercando. Neanche la polizia.