il figlio
Assistere allo spopolamento della propria esistenza dalle sponde di un lago di ghiaccio
Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo è il racconto di un viaggio ma anche “la storia di un mondo che impazzisce per il freddo, con dentro figure di re e di principi malati e matti
Poniamo che, invece di assistere al surriscaldamento globale da noi in larga parte procurato, ci ritrovassimo immersi in una nuova èra glaciale. Un lungo inverno assidererebbe i nostri pensieri che, congelati, rischieremmo quasi di non riconoscere più. E anche la nostra memoria diventerebbe una lastra di ghiaccio, perdendo quindi le sue coordinate, e noi finiremmo per tornare indietro lungo la linea del tempo, dando un’altra chance a vecchie conversazioni cadute nel nulla o provando a rispondere più compiutamente a email cruciali di un decennio prima, o ancora ad afferrare al volo occasioni mancate ritrovandoci faccia a faccia con quelli e quelle che eravamo. Accade a Mauro Barbi, il protagonista di professione storico del Romanzo senza umani di Paolo Di Paolo, appena uscito per Feltrinelli. E’ il racconto di un viaggio ma anche “la storia di un mondo che impazzisce per il freddo, con dentro figure di re e di principi malati e matti (…)”. La premessa è nella prima pagina, con l’avviso: questo romanzo non è prodotto da un’intelligenza artificiale. Di Paolo gioca infatti con la fallibilità umana perché “la tecnologia è più bella di noi, (…) meno imperfetta. Mai unta, mai sudata. Smagliante, impassibile, brilla nelle mani di chi se ne serve, prolungandole e insieme rivelandone l’insufficienza”. Così i paragrafi non terminano con un punto, ma si inseguono senza soluzione di continuità, come accade col tempo delle nostre vite, che è difficile fermare in segmenti.
Non è necessario scomodare Ippocrate per comprendere che “i freddi e i caldi estremi sono contrari alla salute dell’uomo”. E se “la vita è segnata dalle temperature, se tutto ha un clima”, in Romanzo senza umani “le emozioni mancano da giorni” e si rischia di morire assiderati. Forse, quando tutto intorno è gelo, solo i ricordi ci muovono. Ma anche ricostruire una storia non è facile, perché le fonti sono opache e la memoria è una truffa. Difficilmente la versione nostra e quella altrui coincidono. Né veniamo ricordati come vorremmo e in veste sempre lusinghiera.
Barbi, umano troppo umano, si spinge fino a una remota località sul Lago di Costanza, a cui ha dedicato anni di studi e ricerche. Assiste allo spopolamento della propria esistenza, e vaga fra i suoi ricordi alla ricerca degli eventi che hanno freddato dei rapporti, e che lui adesso interroga, nella speranza che non sia troppo tardi.
E’ dura raccapezzarsi sulle sponde del lago di ghiaccio, o attraversarlo, pensando: “I miei contestatori non arrivano dal futuro ma dal passato: sono in sostanza i miei contemporanei, gente che ho frequentato, con cui ho stretto legami, a cui ho dato quello che ho potuto (…). Il passato non esiste, e se esiste si moltiplica, si polverizza in una miriade di versioni, nessuna esattamente collimante”. Perché è impossibile, prima ancora che ingiusto, pretendere che gli altri “ci vedano come vorremmo essere visti. Che ci ricordino come vorremmo essere ricordati”.
Barbi rievoca tutto: il faticoso commercio con gli altri, le alleanze principali e quelle solo accennate, la misantropia alla quale cediamo tutti, di tanto in tanto. Cerca tracce di senso “senza incunearsi nel pensiero della vita potenziale, di quello che avrebbe potuto essere e non è stato. O è stato solo in parte (…)”, perché “il pensiero del non accaduto è una promessa non mantenuta che molto spesso ci intrappola. Ma non vale la pena barattare il passato con l’unica dimensione temporale che abbiamo: il presente”. Mauro Barbi è stato figlio, amante, professore, era a un passo dall’essere padre. E anche se non esiste una macchina del tempo, forse è ancora possibile avere “tutte le età in un istante”, assecondando il mulinello delle epoche in una litania che commuove perché è quella di tutti noi.