Il Figlio
Cara famiglia, sono tornata a casa: la vita seduta sulla valigia
Partire all’alba senza chiavi e non trovare nessuno. Viva la libertà di non aspettarmi
Cara famiglia,
sono tornata a casa. Voi ne ve ne siete accorti, ma non importa, eravate fuori. Potrei mai privarvi della vostra libertà costringendovi a un comitato d’accoglienza? A un bacio sulla guancia? E poi comunque ci saranno i gatti, ho pensato mentre trascinavo la valigia per strada. I gatti e il cane, e forse anche muschi e licheni cresciuti durante la mia assenza. Nuove forme di vita. Da un barattolo di yogurt lasciato aperto fuori dal frigo può nascere qualunque cosa, anche la porta della sesta dimensione per quel che ne so. Quindi ero trepidante: quanti bicchieri rotti troverò? Quanti calzini sul pavimento, quante giacche di mio marito su tutte le sedie della casa? Mi accoglieranno loro, le giacche, pensavo, silenziose ma rassicuranti. Fino a che sono arrivata davanti alla porta e mi sono resa conto di non avere le chiavi. Perché non hai le chiavi, sei forse in quinta elementare che non ne hai ancora diritto? Perché non hai le chiavi, le hai lasciate in quell’altra città? Perché non hai le chiavi, pensi di avere un maggiordomo? Nessuno in casa (dove eravate? Ah, sì, forse a scuola, di mattina) e nessuna chiave per aprire. Anche l’incapacità di scassinare, di usare la carta di credito. Sentivo il cane abbaiare da dentro, immaginavo i gatti che annusavano la porta, avevo anche sete, fame e caldo. Cara famiglia, ora mi ricordo: le chiavi ve le ho lasciate per generosità, per fare in modo che ognuno di voi avesse il proprio mazzo, per farvi sentire adulti. Quindi, anche stavolta, non ho trovato nessuno a cui dare la colpa. Che peccato, è così bello quando posso strabuzzare gli occhi e dire: ma dove sono le chiavi! Ma perché mi fate questo!
Va bene, cara famiglia, mi sono seduta sopra la valigia ad aspettarvi e ho pensato che partire all’alba ha i suoi vantaggi ma non sono vantaggi che io posso comprendere. Al bar del treno ci sono solo cornetti vegani, ad esempio. Il mio vicino di posto mi ha rovesciato un bicchierino di caffè addosso, un altro mi ha chiesto se potevo tacere (ma non siamo nella carrozza silenzio, siamo in seconda standard, vengo qui apposta perché nessuno mi chieda di stare zitta, gli ho detto, e lui ha risposto: sì ma c’è un limite. Gli ho detto: ma sono cose molto interessanti, non trova? Cose scottanti. Ha fatto sì con la testa, ma ha detto che alle sette del mattino troppe cose interessanti fanno venire il mal di testa. Quindi sono stata zitta per tutto il resto del viaggio, umiliata e noiosa, masticando un cornetto vegano di cemento).
Il mattino ha l’oro in bocca, tanto che adesso sono qui, seduta su questa valigia, e vi scrivo una lettera perché ho il telefono scarico e non posso dire nessuna cosa scottante. Potrei suonare al vicino, ma allora preferisco parlare con la valigia. Voglio dirvi che vista da qui la porta di casa è davvero molto invitante, non desidero altro che entrare e accarezzare quel cane puzzolente, non desidero altro che lamentarmi un po’ di tutte le mie sfortune. Ma voi mi guardereste strano e direste: devo fare lo Spid, mi aiuti? Devo fare il tema sui pregiudizi, mi aiuti? E no, non posso, perché vivo sopra la mia valigia, non faccio altro che stare qui seduta, forse non farò mai più nient’altro che starmene qui seduta a guardare la porta. Non è male. Ma ecco, dei rumori, qualcuno sta arrivando a salvarmi proprio mentre mi sto addormentando. Sei tu, ragazzina con la sigaretta accesa in bocca perché non ti aspettavi di trovarmi qui. Sono felice di vederti! Mi guardi strano: devo fare lo Spid, mi aiuti?