Libri
Nei luoghi di Bell Hooks c'è quel senso di appartenenza che spinge a un ritorno
Un viaggio nei libri della scrittrice e pensatrice e sul femminismo dei giorni nostri
La sua bisnonna, e sua omonima, Bell (Blair) Hooks, aveva lei anche grande capacità di eloquio, e su questo la bell hooks pensatrice, scrittrice e femminista internazionalmente conosciuta e scomparsa due anni fa, riflette. In “Sentirsi a casa. Una cultura dei luoghi” (Meltemi, pp. 265, euro 20) ragiona sulla sua propria genealogia psichica, articolando in forma più estesa una riflessione sulla genealogia in genere, ma anche su quell’aspetto decisivo che è il fare base, ritrovare base, darsi una base, ovvero quel lato della faccenda che è trovare una casa, sentire di averla trovata, o meglio ancora, di più ancora, sentirsi a casa.
Il libro, tradotto dal collettivo “feminoska” (che si definisce “attivista, transfemminista e antispecista”), è un denso e prezioso collage di pensieri e ragionamenti su cosa sia trovar casa. “Casa” non in senso figurativo, né letterale, bensì piuttosto come luogo anche della mente dove “l’anima riposa”. Dove i ricordi si addensano per come ogni angolo, ogni muro, ogni porzione di giardino arriva a essere eco e memoria di una natura più ampia. Nel caso di bell hooks, quel genere di paesaggio è stato la natura del Kentucky, splendida, verdissima, ampia e accogliente per la sua infanzia difficile da un punto di vista materiale, ma ricca di valori: soprattutto quello della fedeltà a sé stessa, criterio da cui sempre, emigrando lontano e affermandosi come studiosa e accademica, bell hooks ha continuato a farsi guidare e sostenere come si può da una “casa” interiore.
Perché “casa” sono anzitutto i nostri bagagli immateriali, gli stessi che sempre significano per noi motivo di senso di origine, altrettanto che di disagio. Proprio l’infanzia nella natura (“il rispetto per la terra, per la ragazza di campagna che mi porto dentro”), è la forza che consente a bell hooks di scegliere l’autoesilio. Nel mentre a New York e nel mondo si affermava come pensatrice e femminista, convinta paladina di una cultura quanto possibile cosmopolita, intanto periodicamente tornava nel suo Kentucky, per là sentire nell’intimo la contraddizione che è di ogni autoesilio (“la consueta visita annuale era il rito di passaggio che mi rassicurava di far parte ancora di quel mondo, di non essere cambiata a tal punto da non poter tornare a casa. In quelle occasioni mi sentivo spesso lacerata: da un lato desideravo restare, ma d’altra parte sentivo il bisogno di andarmene, di scappare all’infinito da casa”).
Poi, nella lunga durata, vincono le viscere, il sentire. Lì dove è stata l’appartenenza (la libertà di appartenere), lì a un certo punto si sente forte l’imperativo a fare ritorno. Tornare là dove il dialogo con la Natura più è stato intenso, vero, felice. Nel Kentucky, all’aria aperta e in un mondo piccolo, per quanto dolorosamente memore della tragedia del razzismo e del separatismo razziale, a lei era stata possibile l’autenticità di un dialogo con la Natura. E allora ecco tornare proprio lì, “coi piedi ben saldi sulla terra, per essere, della stessa Terra, autentici testimoni”.
Tornare a fare casa, restando il più possibile vicini al nostro autentico spirito, perché come scriveva Alice Walker (autrice de “Il colore viola”, lei anche femminista e attivista) “lo spirito è il nostro paese, perché è, in fondo, la nostra unica casa”. Rifar casa, tornare a casa, coincide con il tornare a sé stessi. La “cultura dei luoghi” di bell hooks, quella che lei con tanta forza e limpidezza sa mostrarci in queste pagine, accanto a questioni di razzismo e antirazzismo, e in parallelo a esse, si lega a una supplementare forma di accoglienza e di radicamento che si riverbera sui luoghi, sulla natura nella sua componente più materica, tangibile, vicina. “Vivere in comunione con la terra, riconoscere pienamente il potere della natura con umiltà e grazia, è una pratica di consapevolezza spirituale che guarisce e ristora. Fare pace con la terra significa rendere il mondo un luogo in cui sia possibile tornare a essere sé stessi, tornare a casa, coi piedi ben saldi sulla terra, per esserne autentici testimoni”.