Il Figlio
Lacrime su TikTok, pagine di grazie in fondo alla tesi: la laurea emozionale
Fenomenologia del trend virale: corone d’alloro, giacche, tacchi e un fiume di lacrime al ritmo di Tanani e Michele Zangrillo
Il sottofondo musicale tipico è un curioso remix tra Tananai e Michele Zarrillo: le palazzine a fuoco di Tango si dissolvono in Cinque giorni che ti ho perso. Nessuna delle due canzoni sembra particolarmente indicata come colonna sonora di una laurea, ma su TikTok va così. Le centinaia di migliaia di video della categoria “Ringraziamenti tesi” si assomigliano un po’ tutti: corone d’alloro, giacche, tacchi e un fiume di lacrime. Piangono le mamme e i papà, i fidanzati, i nonni, ma soprattutto piangono i laureati mentre leggono le pagine e pagine di ringraziamenti che hanno inserito a conclusione delle loro tesi. Si commuovono per la loro stessa gratitudine e per le solite cose: il sostegno ricevuto, la pazienza, l’esempio, perché qualcuno ha fatto la doppietta “supportato e sopportato”, e per il ricordo di chi è stato importante nella loro vita e ora non c’è più (c’è un sottogenere: neodottori al cimitero, che leggono il ringraziamento davanti a tombe, ossari, urne. Qui piange anche chi li guarda).
Dev’esserci stato un momento piuttosto recente in cui i ringraziamenti contenuti nella tesi sono diventati un genere preciso, un’occasione da non perdere. Mattia Stanga, ventitreenne content creator (sommando i social ha più di 4 milioni di follower) si è laureato a fine ottobre e ha pubblicato i “Non ringraziamenti” della sua tesi, quattro pagine di pensieri molto personali e tributi a un numero importante di famigliari - compresa Maria, cugina di settimo grado - e amici. L’ultima pagina è dedicata ai (non) ringraziamenti a sé stesso, un altro classico contemporaneo: su TikTok tantissimi si ringraziano da soli, annoverando tra le virtù tempra, pazienza e coraggio. C’è la canzone perfetta per questi auto tributi: la canta Snoop Dogg, si intitola I wanna thank me. La prima strofa “last but not least, I wanna thank me”, campionata dal discorso che il cantante ha fatto quando gli è stata dedicata una stella dalla Walk of Fame di Hollywood, è una specie di mantra del self-empowerment social.
Oltre a sé stessi, tra i più ringraziati ci sono i nonni: paragonati ai disastrosi genitori, i nonni si stagliano come figure mitologiche che hanno conosciuto la fatica, fatto fortuna, cambiato i destini famigliari e spesso poi foraggiato più generazioni, permettendo ai nipoti di laurearsi senza stress. Anche quando non hanno fatto nulla di tutto questo, i nonni hanno comunque il merito di essere psichicamente meno ondivaghi dei loro figli e anche più instagrammabili: i nonni creano engagement e nessun imbarazzo, anche quando sono vestiti così così. I nonni sono teneri, mamma e papà possono essere cringe.
Questa storia dei super ringraziamenti è la risposta italiana ai graduation speeches americani, però senza la voce. Siccome da noi non è prevista nessuna occasione ufficiale per menzionare parenti e amici, li si ficca in fondo alla tesi. E poi si fa un video emozionale.
L’emozione è il grande motore che muove i social, soprattutto TikTok. Non so se qualcuno si sia mai preso la briga di misurare le lacrime versate dai tiktoters, ma sono un fiume in piena. Si piange leggendo i libri (e si scelgono libri che fanno piangere), nei bagni della scuola, abbracciando le amiche. Non è sentimentalismo a uso e consumo dei followers, è la verità: i ragazzi piangono un sacco.
Mio figlio stranamente non piange mai e così quando mi ha detto che ha scritto quattro pagine di ringraziamenti della tesi mi sono insospettita: “Vuoi metterlo su TikTok?”, ho chiesto. Mi ha guardata male: non ha TikTok. Ok. Quindi, quattro pagine perché? “Perché rimane”, mi ha risposto. Come se fosse una cosa strana e inusitata, come se invece di un file di word, stessimo parlando di incisioni rupestri. Rimane, non come le notifiche, le stories. Per me rimane tutto, pure troppo. Sono piena di cose rimaste che non so dove mettere, come far sparire. Per lui una pagina stampata, quattro pagine stampate, sono una traccia indelebile. Qualcosa che spezza questo eterno presente che, però, finisce subito.