Marguerite Yourcenar (Wikipedia)

Il figlio

“Che ce ne importa, non siamo di qui, domani andiamo via”. Yourcenar, figlia e amante

Sandra Petrignani

Eugenio Murrali ripercorre tappe, sentimenti e vicissitudini della scrittrice francese in un racconto in cui il viaggio personale si alterna a un coro di voci

"Che ce ne importa, non siamo di qui, domani andiamo via”. Era la frase che il padre di Marguerite Yourcenar, Michel de Crayencour (lo pseudonimo Yourcenar ne è un anagramma quasi perfetto) ripeteva durante i viaggi che fece con la giovanissima figlia e che ne definisce un poco il ritratto: un uomo leggero, sradicato che, dopo la morte della moglie, amava cambiare luoghi, compagnie, amanti. La moglie era morta di setticemia passata appena una settimana dal parto di quell’unica figlia, che sarebbe diventata l’autrice di libri straordinari come Fuochi, Il colpo di grazia, Memorie di Adriano, L’opera al nero e prima donna a venir nominata “accademica di Francia”.


Eugenio Murrali, al suo esordio narrativo con Marguerite è stata qui (Neri Pozza, 190 pagine, 17 euro) ne ripercorre le tappe, i sentimenti, le vicissitudini in un racconto corale in cui il suo viaggio personale alla ricerca della scrittrice adorata si alterna a un coro di voci. Le voci inventate di chi ha guardato da vicino, amato, accompagnato Yourcenar nel corso della sua lunga esistenza. Da Mont Noir, la grande villa della nonna paterna Noémi, nel nord francese al confine col Belgio, a Mount Desert, nel Maine, dove Marguerite si trasferì nel 1939 con la compagna d’una vita, l’americana Grace Frick. E sono Noémi, Grace, il padre Michel, persino la madre Fernande e la balia e i suoi medici e l’ultimo amante, Jerry Wilson, e tanti altri personaggi a raccontarla, ognuno dalla sua ottica e in epoche diverse, dall’infanzia alla giovinezza alla vecchiaia.

È un libro intenso, dalla lingua impeccabile questo di Murrali, in cui si sente la lunga frequentazione con l’oggetto narrato e si sente la profonda ammirazione che lo muove, ma soprattutto affiora la comprensione profonda verso una donna, Marguerite, misteriosa e contraddittoria, di difficile decifrazione, che poteva amare solo maschi omosessuali condannandosi alla sofferenza e allo scacco, e che visse accanto a una compagna in grado di sostituire quella madre persa ancor prima di poterla conoscere. Una donna, Marguerite, che riuscì, dopo la perdita di Grace, a innamorarsi di nuovo, del tanto più giovane Jerry, quando aveva già settantasei anni. E riuscì a soffrire di nuovo, ma rendendo appassionata più che mai la propria vita.“Io volevo soltanto essere felice” fa dire Murrali a Fernande, la madre. E a un altro personaggio, il medico che non riesce a sventare la morte della puerpera: “Ho fatto del mio meglio”. Ed è questo l’insegnamento. Cercare di essere felici facendo del proprio meglio, sfidando come la tempestosa Yourcenar il destino, l’età, persino la morte, ascoltando “la voce delle cose”, come dirà a Jerry consolandolo della rottura d’un ciondolo, che portava al collo, caduto in terra.

Pure dopo la morte di Jerry, Yourcenar, col cuore spezzato come quel ciondolo, e ormai ultraottantenne, progetta un nuovo viaggio che non riuscirà però a realizzare. Ma non importa. L’importante è essere stata profondamente sé stessa. La scrittrice che voleva diventare fin da piccola, la donna che ha molto amato rompendo gli schemi, la viaggiatrice sradicata che sapeva dire ogni volta: “Che ce ne importa, non siamo di qui, domani andiamo via”. Ed è quel che impara lo stesso Murrali dopo aver tanto provato a mettere a fuoco Marguerite Yourcenar, dopo averla cercata nelle sue case e nelle biblioteche, dall’Europa all’America, nella sua biografia, nei suoi libri, fra le sue carte. Quel che troverà alla fine è l’immagine di sé: “So chi sono, chi non sono. Mi sento di nuovo tutto intero”. Perché a questo serve scrivere, probabilmente. O anche solo frequentare i grandi scrittori.
 

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