il figlio
Il momento di felicità invernale era il plaid, ma mi ha lasciato
Tu mi rimpiangerai, cara coperta senza personalità e capace di darti al primo che passa
Quando inizia l’inverno, prima del buio nella mente e delle testate al muro di gennaio, c’è un lungo momento di felicità che è dato esclusivamente dal plaid. Il plaid sul divano, il plaid da avvolgersi addosso per camminare in casa o per accogliere un pacco Amazon, il plaid con cui i fortunati abitatori di terrazze o balconi escono per controllare le piante o far fare la pipì al cane. Se ci fosse il plaid anche al cinema, ci andrei tutti i giorni. Ma è vero che il plaid richiede una posizione particolarmente comoda, pretende fiducia e abbandono, e anzi a volte non permette nemmeno di tirare fuori le braccia per scrivere una mail, quindi le riunioni sotto il plaid sono escluse dalle possibilità del plaid. Il plaid è un atteggiamento virtuoso (anche se è vietato regalare plaid a persone con cui si desidera andare oltre l’affetto: il plaid è per le nonne o per le cugine freddolose e lontane, non per qualcuno che ti toglie il fiato), il plaid è una postura esistenziale che significa anche: non lo vedi che sono sotto un plaid in questo momento e sto cercando di concentrarmi? E’ lo stesso effetto del cartello: non disturbare.
Io ho un plaid che mi è molto caro, con cui ho passato vari inverni e anche i lockdown: l’ho usato come protezione dal mondo e non mi ha mai tradito. Mi provavo la febbre sotto il plaid quando ero convinta di avere il Covid, accoglievo di volta un volto un gatto meritevole di un premio, stabilivo le distanze con il mondo e con la necessità di alzarmi un giorno da lì. Si può stare sotto il plaid dalle due alle otto ore consecutive senza effetti collaterali. Anzi, con il tempo il plaid, che è personale e non cedibile, prende la forma della persona a cui è stato assegnato ed è in grado di svolgere piccoli lavori come scrivere un breve articolo, sgridare un figlio che passa, accendere la tivù e cercare Ilary Blasi su Netflix. Non sono io, era il plaid che voleva vederla. E’ chiaro quindi che il rapporto che si instaura è molto stretto e va a toccare corde anche profonde, i bilanci di una vita, l’incomprensione umana e la semplice comprensione del plaid.
Capirete quindi il mio sgomento quando il plaid mi è stato strappato da un quattordicenne influenzato. Doveva essere un gesto di generosità materno dovuto alla compassione verso un quasi bambino con la febbre, si è trasformato in un’occupazione da squatter e adesso non riconosco più mio figlio, e va bene è il nostro destino, ma nemmeno il mio amato plaid. Giulio se ne è impossessato e contemporaneamente è sparito. Lo cerco per casa e non lo trovo, devo dargli il Biochetasi, ma ecco che da un angolo spunta un plaid malridotto e rigonfio. Guardo sotto il plaid, e sotto il plaid c’è mio figlio con il telefono in mano. Dice che è l’unico rimedio per il mal di testa: chattare completamente ricoperto da un plaid. Il plaid, che non ha una personalità forte, sta velocemente prendendo le fattezze di mio figlio, appallottolato, sbriciolato, maschilista, con bottiglie d’acqua senza tappo in equilibrio precario e grande capacità di far frantumare nel giro di pochi secondi tutto quello che è fragile ed è stato tramandato di secolo in secolo. Sopratutto, adesso sotto il plaid c’è un essere umano disordinato e poco adatto alla doccia, mentre sopra il plaid ci sono due gatti e un cane che si contendono lo spazio e si fanno le unghie e il cambio pelliccia per il freddo. Di nuovo, sono stata lasciata. Il plaid infatti sembra perfettamente a suo agio e non chiede mai di me. Ingrato, come tutti i plaid. Ma mi rimpiangerai, bello senz’anima.