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“Il vecchio e i fanciulli” torna in libreria e Grazia Deledda rivive a Cervia
Uno dei romanzi meno conosciuti della scrittrice premio Nobel viene oggi riproposto: c'è molto delle origini sarde dell'autrice
Esattamente un anno fa, a Cervia, un attivissimo comitato di dieci cittadine fondava l’associazione Una Nobel abita qui col preciso intento di riuscire prima o poi a rendere museo Villa Caravella. Così, infatti, Grazia Deledda (Premio Nobel nel 1926) aveva chiamato la sua casa estiva, che frequentava dai primi anni Venti fino a quando, istigata dal giovane amico scrittore Marino Moretti, che viveva nella vicina Cesenatico, acquistò il villino di via Cristoforo Colombo 65. E per questo dalla Nuvoletta ispirata ai turbinosi cieli del luogo, come l’aveva chiamata in un primo momento, Grazia fece una Caravella.
Per merito dell’infaticabile Associazione, ed esattamente dal 28 novembre scorso, sarà facilissimo rintracciare questo villino andando in giro per la città, perché Cervia è ora punteggiata da indicazioni segnaletiche che portano il turista dritto davanti alla casa. Non visitabile in quanto ancora privata, ma un passo dopo l’altro… In questa casa, oltre che in quella di Roma, nel quartiere Nomentano vicino al Policlinico, dove si era trasferita da Nuoro insieme al marito all’inizio del secolo, Deledda scrisse moltissime opere fra cui una, Il paese del vento, del 1931, ambientata proprio a Cervia. Mentre è precedente di tre anni Il vecchio e i fanciulli, un romanzo non fra i suoi più famosi, che ora viene meritevolmente riproposto dalla casa editrice Utopia, come già i più celebri e giovanili Cenere e Elias Portolu e come altri ne verranno.
Ed è interessante quanto, nella distanza della vita in continente, l’autrice riesca a ricreare la natia anima sarda da cui mai si è davvero allontanata. E forse in questo libro meno che in altri. Il vecchio del titolo infatti, Ulpiano Melis, contadino possidente, ha i tipici caratteri isolani: è di poche parole e diretto, abitato da una segreta dolcezza. E quando gli si presenta il giovane Luca Doneddu, che gli si offre per aiutarlo con gli animali, non ci pensa due volte ad assumerlo come aiutante. C’è la guerra ed è rimasto solo ad accudire le bestie, e suo nipote, al quale è affezionatissimo - anche se non ricambiato - è lontano, a studiare dice, ma chissà a fare cosa veramente. E il destino vuole che il nipote si chiami Luca pure lui. Scorre la storia sulle ali del non detto e di possibili bugie. Chi è Luca Doneddu, e si chiamerà così o è un nome di invenzione? E da cosa fugge? Non importa. “Pareva davvero che Luca lo avesse stregato; pensava a lui con tenerezza, quasi con gioia”. Il vecchio è preso da una fascinazione cui non ha voglia di resistere, un desiderio di paternità forse, là in mezzo al selvaggio paesaggio di una Sardegna ancestrale e isolata, là dove anche le ragazze sono selvagge come cavalli bradi e corrono sulle loro groppe come fossero maschi coraggiosi e sfrenati. S’innamora Luca di una di queste ragazze, un’altra nipote di Ulpiano, Francesca, e le cose si complicano e più misteriosi e indecifrabili si rivelano i sentimenti: quelli patriarcali del vecchio, possessivo e geloso della giovinezza, quelli mossi da un ingovernabile erotismo fra i “fanciulli”. La storia resterà sospesa, Luca dovrà partire per la guerra e non sappiamo se farà ritorno, se sposerà Francesca, se Ulpiano si arrenderà “storcendo la bocca per succhiare meglio la pipa, pensando che nella vita la cosa più inutile è l’esperienza dei vecchi”.
E noi pensiamo quanto sia importante leggere ancora e sempre Grazia Deledda, col suo mondo fiabesco, con i sentimenti irragionevoli che sa raccontare, con una Sardegna mitica che non è mai folclorica. E chissà come mai da noi nemmeno il premio Nobel serve a imporre una scrittrice, fra le pochissime in tutto il mondo, fra l’altro, che lo abbiano vinto. Perché se ne contano diciassette dal 1901. Ultima venne Annie Ernaux l’anno scorso. Così, per la cronaca.