il figlio
Banana Yoshimoto e gli altri, che dagli anni 90 indagano la giovinezza
"Che significa diventare adulti?" (Feltrinelli, traduzione di Gala Maria Follaco), come titola nel suo ultimo saggio Banana Yoshimoto è una cosa che ci si domanda da quando nella prima adolescenza si fa di tutto per non diventarlo mai. Un piccolo libro magico che non pretende magia
Come si fa a diventare adulti ce lo si chiede spesso quando adulti lo si è già diventati, ma Che significa diventare adulti? (Feltrinelli, traduzione di Gala Maria Follaco), come titola nel suo ultimo saggio Banana Yoshimoto è una cosa che ci si domanda da quando nella prima adolescenza si fa di tutto per non diventarlo mai.
Nei primi anni Novanta in Italia due romanzi molto diversi conquistano le classifiche e il cuore di molti adolescenti. Usciti nello stesso anno a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro, Va’ dove ti porta il cuore di Susanna Tamaro pubblicato a gennaio del 1994 e Jack Frusciante è uscito dal gruppo di Enrico Brizzi, pubblicato ad agosto dello stesso anno, restano forse i grandi bestseller nati da un contesto letterario che a lungo li stava covando. E come si direbbe oggi, nessuno li vide arrivare. Se Va’ dove ti porta il cuore ricerca atmosfere mitteleuropee e offre un’ambizione classicheggiante, Jack Frusciante è uscito dal gruppo è un testo post punk in parte addomesticato e in parte figlio dell’onda lunga della letteratura d’ispirazione tondelliana. Da un lato atmosfere impalpabili e densamente triestine, dall’altro gli anni Novanta della Pantera e dei licei bolognesi: due libri dunque complementari. Se il centro del libro di Brizzi è il liceale Alex, quello di Susanna Tamaro è l’anziana Olga che scrive alla nipote. Due romanzi che prendendo direzioni opposte, ma si integrano l’uno all’altro. Le atmosfere ovattate di Va dove ti porta il cuore si intrecciavano infatti sorprendentemente - in quel fine Novecento - con il chiasso irriverente eppure non a caso fortemente malinconico dei licei italiani che assomigliavano un po’ tutti all’Istituto Caimani frequentato da Alex. Ma un romanzo li precedette e preparò il contesto e i loro lettori, Kitchen di Banana Yohoshimoto. Tradotto in Italia nel 1991, Kitchen alla nostalgia e alla fuga dalla famiglia oppose un orientalissimo permanere.
Un’ostentata resistenza alla malinconia con cui la giovane protagonista si difende dalla dipartita della nonna, in un’atmosfera sognante e fantastica che fece scoprire ai giovani lettori di allora anche i manga (e va citato lo straordinario esordio di Tiziano Scarpa del 1996 con Occhi sulla graticola che chiuse il cerchio di quegli anni Novanta italiani). Kitchen fu il primo libro stropicciato nelle tasche di una generazione che visse un’adolescenza gloriosa, ma poi quasi solo quella, permanendo poi in uno stato di fragile maturità. Di quei testi possiamo oggi parlare più come di romanzi generazionali che di formazione, al punto che al solo ricordo scende anche una lacrimuccia per quelle pagine lette “alla ‘boia d’un Giuda’”.
Ora l’uscita di questo rapido saggio di Banana Yoshimoto, Che significa diventare adulti? riattiva - oltre alla voglia di rimettersi in tasca un libro (e le 96 pagine ne favoriscono la possibilità) - anche quella di tentare di capire se quel diventare adulti è rivolto ai giovani di oggi o, come pare più probabile, ai giovani di ieri. Yoshimoto sa bene come dare forma a un amuleto letterario stando ben alla larga dalle facili parodie della meditazione stile corso di pilates, così come della filosofia orientale a dispense. Le sue riflessioni hanno il passo piano e attento di chi cammina con la consapevolezza che il tempo in cui viviamo e l’età a cui apparteniamo dialogano sotto lo stesso cielo. La complessità necessita allora di leggerezza e di chiarezza, mentre la paura e la solitudine hanno bisogno di nuove forme di cura e di attenzione. Che significa diventare adulti? è un piccolo libro magico che non pretende magia. Un testo esile perché delicato che tiene la nostalgia a bada e che offre una possibilità semplice e utilissima: dare un po’ di ordine alle cose. Diventare adulti senza sparigliare sempre tutto, o almeno provarci ancora una volta.