Il Figlio
Pinkwashing e altre nefandezze che non mi riguardano
Tutta la famiglia alla mercé del giudizio di mia figlia. Lei decide chi ha ragione e chi ha torto, chi è simpatico e chi è antipatico. Mi vengono lanciate accuse che però non trovo mie. Vivere e sopravvivere
L’unica cosa certa della mia famiglia è che tutti abbiamo molta paura del giudizio di mia figlia. Giudizio morale, estetico, etico, educativo. Lei decide chi ha ragione e chi ha torto. Lei decide chi è simpatico e chi è antipatico. Lei decide se le parole che usiamo sono giuste o sono sbagliate. Di solito, sono sbagliate. Lei decide che film si guarda insieme o se invece non è il caso di perdere tempo con gente come noi. Ho l’impressione che anche i gatti e il cane vivano in questo tipo di soggezione, con lei infatti si comportano con maggiore cautela e la guardano in cerca di approvazione, ma in generale sono tutti, umani e non, molto sollevati dal fatto che normalmente il principale oggetto di critiche, allo stesso tempo zona di interesse e zona di estremo disinteresse, sono io. Sono talmente sollevati che a volte non fanno abbastanza attenzione. È lì, in quel momento di rilassatezza, che si consuma il mio trionfo. Loro pensano ormai di essere al riparo, di avere guadagnato la libertà, di potersi comportare come fratelli qualunque, padri qualunque, cani qualunque. Tanto, pensano, adesso c’è sua madre in casa, ci pensa lei a farla innervosire. Noi siamo salvi. E così ridono, scherzano, parlano con disattenzione, abbaiano male, oppure, molto peggio, fanno i gradassi, credono di essersi evoluti abbastanza o di potersi permettere di usare parole proibite.
Io taccio, mi siedo e aspetto. Mio figlio a un certo punto ha fatto una battuta piuttosto innocente su certi compagni di scuola, quelli che camminano con le braccia e le gambe larghe, quelli che fanno in modo di stringere il più possibile il cavallo dei pantaloni quando passa una ragazza, e l’ha fatta allegramente, ma cercando con troppa noncuranza, con troppa ingenuità, la complicità della sorella. Che non ha riso. Se non ride, è un brutto segno. Se tiene lo sguardo fisso davanti a sé, è un brutto segno. Non ha riso, ha tenuto lo sguardo fisso davanti a sé e gli ha detto: scusa fra’, per caso stai facendo pinkwashing?
Lui non aveva la più pallida idea di che cosa fosse il pinkwashing, quindi è andato in confusione, ha detto: certo, poi si è agitato, ha capito in ritardo che era una trappola, allora si è arrabbiato, ha fatto un verso tipo da aquila ed è scappato in camera sua, umiliato, rabbioso. Pinkwashing significa che ci si sta lavando la coscienza con il rosa, o che ci si sta mostrando apparentemente solidali con le donne per scopi abietti, tipo vendere qualche prodotto se sei un’azienda. O, nel caso della nostra famiglia, per ottenere l’approvazione di mia figlia. Pinkwashing, che adesso per mio figlio è un’offesa gravissima, è come dire: troppo facile, così. Oppure: guarda che non ci casco. Non ho alcuna intenzione di difendere mio figlio, anzi spero che questo battibecco continui così io posso respirare, ma devo ammettere che questo pinkwashing a me fa molta tenerezza, soprattutto perché non mi riguarda.
Io vengo accusata di ben altre nefandezze, che per il momento non intendo rivelare. Ma pinkwashing, mai. Pinkwashing riguarda i maschi, come il mansplaining, e per una volta non è colpa mia. Potrei cavalcare questo momento favorevole, potrei godermela, potrei anzi cercare di entrare nelle grazie di mia figlia deprecando questi comportamenti maschili inaccettabili, ma so che qualunque cosa si ritorcerà contro di me. Quindi dico solo che oggi è una bella giornata. E lei allora dice che il mio buonumore ha qualcosa di profondamente ricattatorio.