Il Figlio
Un meraviglioso spreco d'amore: storia di una fissazione invisibile
Che vita facevano al di fuori degli istituti i bidelli, o meglio, i "collaboratori scolastici"? Marco Lodoli, professore, è tornato a frequentarli anche dopo l'università e nel suo nuovo romanzo, "Tanto poco", la protagonista è proprio una di queste figure di cui si parla troppo poco
Cosa si nascondeva dietro quelle figure modeste e fondamentali, solidali ma a volte fonte di rimproveri e minacce – cui non credevamo nemmeno per un momento beninteso – che hanno popolato le nostre vite di bambini e ragazzi fra i banchi di scuola? I bidelli intendo, anche se oggi bisogna chiamarli più cortesemente, ma molto meno poeticamente, “collaboratori scolastici”. Che vita avevano quando tornavano a casa, coltivavano amori, allevavano figli che ci somigliavano magari? Non credo che ce lo chiedessimo. Elemosinavamo la loro indulgenza, pagavamo sottobanco una merenda più gustosa di quella che ci eravamo portati da casa, discutevamo con loro di partite di calcio o di canzonette, ci lamentavamo dei professori. Ma chi fossero al di fuori delle nostre mattinate interminabili non ci riguardava minimamente. Marco Lodoli che, come professore, è tornato a frequentarli anche dopo l’università, deve aver avuto molte occasioni per approfondire o fantasticare sulle loro personalità sfuggenti. E se la scuola era già entrata nei suoi libri, nel nuovo romanzo, Tanto poco, edito da Einaudi, fa proprio di una bidella la protagonista assoluta, così assoluta che ne è l’io-narrante. “Io ero stata assunta l’anno prima, collaboratrice scolastica, cioè bidella…”.
Si tratta dell’anno precedente a un evento che le cambia la vita, quando conosce un giovane, sprovveduto insegnante, Matteo Romoli, che si sente uno scrittore e infatti non prende tanto sul serio il lavoro scolastico mettendosi in cattiva luce col preside. Ma ecco che quella bidella, di cui lui non memorizza neppure il nome e forse non la mette mai a fuoco come del resto null’altro mette a fuoco di ciò che lo circonda in quella scuola, né colleghi né ragazzi, perché lui è uno scrittore e un suo primo libro ha un certo successo, ecco che quella mite bidella invisibile ne fa il centro della propria vita. Tutto qui. Storia di una fissazione o, volendo, di una nevrosi mai riconosciuta come tale. La forza del racconto è il punto di vista. Lodoli dà voce a chi voce non ha e non ha voce perché non possiede una chiave d’interpretazione del mondo, se non quella di un esorbitante, immotivato sentimento. La bidella di Torre Maura, una delle tante periferie romane che Lodoli usa come sfondo congeniale al suo narrare sempre diminuito, sempre umile ma senza esibizione, sa che “l’amore non produce altro che se stesso”, sa che “è solo meraviglioso spreco”. E così, fra separazioni e trasferimenti, spionaggi e ritrovamenti, apparizioni televisive dello scrittore e suoi fallimenti, scalpiccii di piedi tempestosi di ragazzi sguinzagliati nella ricreazione, compiti in classe corretti contro voglia, la vita passa. La vita del professore che “invecchiava, ma come invecchiano le stelle”, secondo la sua eterna innamorata, e la vita di lei, l’oscura bidella dall’unica ambizione: un folle “spreco” amoroso.
Era questa l’intenzione dell’autore? Mostrare l’abisso di una mente malata che si autocondanna alla solitudine dandole il nome di eterno amore? In parte probabilmente sì. Ma credo che l’arte di uno scrittore come Lodoli stia nel far sentire al lettore “l’odore forte del vino e della disgrazia”, stia cioè nella forza di parole che, sotto le mentite spoglie di una musica qualunque, senza picchi e insieme abitata da crudeltà estreme, trova la consistenza della poesia, come un fiore che nasce inatteso fra le erbacce. Non dimentichiamo il suo grande amore per una scrittrice “di erbacce” come Agota Kristof (da lui anche tradotta) che di sé diceva di essere “analfabeta” perché costretta nell’esilio a esprimersi in una lingua, il francese, che non era la sua. Le erbacce, in Tanto poco, sono l’esistenza arrogante e presuntuosa di una donna senza valore. La poesia è riuscire a raccontarla.