Il Figlio
Le insegnanti: l'esercito di donne che non hanno dimenticato loro stesse da bambine
Le docenti Roberta Ortolano e Samanta Picciaiola, in un libro prezioso perché nutrito dell’esperienza personale e del dialogo con i testi di Elena Gianini Belotti, provano a spiegare perché gli uomini in cattedra sono sempre più rari
La scuola è da tempo regno quasi esclusivo delle donne, con punte che toccano il 96 per cento in quella d’infanzia e nella primaria. Gli uomini sono sempre più rari, tanto ai primi livelli di istruzione quanto alle superiori, complice una svalutazione del salario che il padre di famiglia non può permettersi, e che le donne devono viceversa accettare. Un esercito di donne ad accudire e formare i giovani cittadini, dall’apprendimento dell’alfabeto fino all’età del voto. Eppure se c’è una figura che non ha mai smesso di venire posta sotto assedio è proprio quella della docente: cercare di capire come e perché ciò sia accaduto, e continui ad accadere, significa addentrarsi in uno dei punti talmente assimilati da diventare invisibili nel costrutto patriarcale della nostra società. Ed è ciò che Roberta Ortolano e Samanta Picciaiola, entrambe insegnanti, fanno in un libro prezioso perché nutrito dell’esperienza personale e del dialogo con i testi di Elena Gianini Belotti, una delle menti più originali e innovatrici in materia di educazione e di genere ("Sono stata anch’io bambina. Dialoghi con Elena Gianini Belotti", prefazione di Giusi Marchetta, Edizioni Tab, Biblioteca di Sofia, 2023).
In "Prima delle quiete. Storia di Italia Donati" (2003) Gianini Belotti aveva raccontato la vicenda di una giovane donna, cresciuta nella miseria, approdata al titolo di maestra con enorme sacrificio, per poi essere mandata a insegnare in un paesino dove prima si trova a difendersi dai tentavi di molestia del sindaco, poi dal biasimo e dalla calunnia dell’intera comunità che la porteranno al suicidio. Nella lettera lasciata al fratello, Italia Donati chiedeva che si verificasse la sua purezza, ossia la sua verginità.
Ortolano e Picciaiola non hanno vissuto un caso così estremo, ma hanno sperimentato su di sé il peso di un ruolo, quello della docente, alla quale si chiede di essere moralmente irreprensibile, perfetta, madre e vergine allo stesso tempo, figura della cura e della riparazione, psicologa e assistente sociale, con il rischio sempre a portata di mano che la minima defezione rispetto a questo modello idealizzato, e impossibile, si converta in sospetto, maldicenza, accusa e, come ci mostrano le cronache, in aggressione fisica tanto da parte degli studenti quanto dei genitori.
Il gravame di responsabilità che viene calato sulle docenti è pari infatti al surplus di competenze e lavoro che si chiedono mediamente a una donna; ma Roberta Ortolano e Samanta Picciaiola lungi dal sottrarsi a una sfida sulla tenuta professionale della loro scelta, ne demistificano la retorica vocazionale e ne illustrano gli aspetti concreti: cosa significhi, ad esempio, parlare di diversità in una classe superiore, come si possa far emergere un’idea di mascolinità meno bellicista di quella in corso, quale modello di femminilità, e di umanità, si porti in classe con il proprio corpo.
Anche l’aspetto economico viene preso in considerazione: perché un lavoro tanto importante è così poco remunerato, sia rispetto ad altre professioni, sia rispetto a posizioni equivalenti negli altri paesi europei? Di nuovo il pregiudizio di genere – è un lavoro da donne – ha portato a una squalifica che viceversa non ha toccato i docenti universitari, in maggioranza uomini. Per le donne che compiano questa scelta si profila inevitabile l’idea di avere scelto al ribasso, come se l’insegnamento fosse il rifugio di chi non ce l’ha fatta scalare i piani più alti.
Il libro mette in luce tutte queste criticità, ma le illumina anche di un’energia viva e propositiva che viene dalla consapevolezza di un percorso scelto e voluto che non ha dimenticato quella parte di di sé che è stata bambina.