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Il figlio

Tre sorelle adolescenti, un campo di squash e la ribellione della rinascita

Michele Neri

Il romanzo di Chetna Maroo è un ritratto viscerale e tenero sulla relazione tra un padre e una figlia. Non affronta il potere salvifico dello sport, quanto più la necessità di trovare un nuovo centro di equilibrio per affrontare le insidie della vita

T: è chiamato così il centro del campo di squash. Riuscire a “tenere la T” è importante per il giocatore che voglia conservare controllo sul campo e, per estensione, in un romanzo di fresca umanità e accurata misura, è la necessità di un baricentro a cui aggrapparsi dopo aver subito la più grave tragedia degli affetti. T libro d’esordio e già finalista al Booker Prize dell’inglese di ascendenza indiana Chetna Maroo, (traduzione di Gioia Guerzoni, Adelphi) racconta, con tocchi lenti e profondi e qualche volée straziante, la vita dopo la morte della loro madre, di tre sorelle adolescenti: Khush, Mona e la narratrice, l’undicenne Gopi. Nello squilibrio spaventevole che si crea in famiglia – ridotta alle ragazze e a un padre che non riesce a dar nome a quanto successo – gli allenamenti di squash a cui lui costringe Gopi con un fervore che ha fatto ricordare Open di Agassi, offriranno un faticoso riscatto. “Quando sei in campo, durante una partita, in un certo senso sei solo. Ed è così che dovrebbe essere. Devi trovare una via d’uscita. Devi scegliere i colpi e crearti lo spazio di cui hai bisogno. Devi difendere la T”. Nessuno può più farlo al posto suo e le partite leggendarie dei grandi giocatori indiani e pakistani riviste in televisione, diventano l’unico modo in cui padre e figlia mantengono un dialogo, quando attorno si estende un mondo di fantasmi.

Davanti a Gopi si apre quell’acerba stagione fatta di sentimenti improvvisi, nostalgie prive di parole, senza riuscire mai a comprendere chi si sta diventando. Concentra ogni sforzo e attesa sul campo sportivo, ma dovrà presto capire come emozioni e desideri possano essere vissuti – se ne abbia il diritto – perché il padre cede alla richiesta della zia di Gopi di portarla a vivere con lei a Edimburgo. La zia è preoccupata che lui non sappia domare le figlie, che lei considera uguali a selvagge. “Volevo parlare di cosa significasse essere selvagge secondo zia Ranjan”, dice Gopi. “Indossare i pantaloncini se eri una ragazza. Correre al chiuso. Correre in generale. Tenere il gomito fuori dal finestrino…”. In attesa di lasciare la periferia di Londra per il gelido nord, la ragazzina si concentra sul campo di squash; lì incontra un coetaneo inglese, Ged, con cui inizia a giocare, come fosse un primitivo scambio d’amore. “In campo mi pareva di costruire qualcosa insieme a Ged, qualcosa che non potevamo vedere né́ toccare”. Gopi partirà con l’unico sogno di rivederlo a un campionato che avrebbero disputato insieme, e poter disputare la partita del destino: “Un bel tiro può fermare il tempo. A volte è l’unica cosa che può farti sentire in pace”. 

Chetna Maroo ha costruito una storia incantevole per chi voglia fare il tifo; non tanto per la protagonista nella sua lotta contro una tradizione che la priva di libertà, quanto per la sua remissività davanti al destino, ai no granitici della zia, al dolore fisico degli allenamenti. È un ritratto viscerale e tenero sulla relazione tra un padre e una figlia, la cui unica preoccupazione è per quell’uomo che fissa la poltrona della moglie, le mani tremanti. Vorrebbe dirgli che ha bisogno di lui, di qualcosa da lui, “Ma cosa, che cosa?” si strugge. Non è un romanzo sul potere salvifico dello sport, quanto un invito a cercare un nuovo centro ovunque si presenti; consapevole che, come con lo squash, dovrai tenere a freno l’impeto, non preoccuparti di arrivare in ritardo, di ciò che potrai o ti sarà precluso, perché la preoccupazione fa sbagliare. Se, come scrive l’autrice, i movimenti del corpo su un campo da squash sono diversi da ogni movimento naturale, dopo una tragedia occorre apprendere movenze di questo genere. Conoscere torsioni e frenare impeti, per poter andare avanti. Così che, “Domani giochiamo”, avrà il valore di una rinascita.

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