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Quante famiglie nei sei romanzi del Premio Strega: occhi terribili e gioiosi
Gli autori riflettono sul ruolo fondamentale della famiglia nella formazione del carattere e dei valori. Dario Voltolini, Donatella Di Pietrantonio e altri finalisti raccontano le dinamiche familiari tra amore, sofferenza e crescita. Stregati dalla vita
Nel bene o nel male, la famiglia è un fulcro e con le sue idee, abitudini e tradizioni, forgia il carattere, i comportamenti e il valore di ognuno. Si fonda (non sempre) sul rispetto, sulla solidarietà e sull’amore, tutti requisiti di cui teniamo conto quando costruiamo i nostri rapporti sociali. “E’ sempre la prima comunità con cui ci confrontiamo, è importante in assoluto, perché anche quando è negativa ti segna”, dice al Foglio Dario Voltolini, finalista al Premio Strega con Invernale (La nave di Teseo), “una meditazione sulla sofferenza di un animale maschio”. “Non è questione di essere o non essere innamorati dei propri genitori – aggiunge lo scrittore torinese - perché a volte ci sono degli scontri pazzeschi, delle difficoltà enormi, e ti segnano anche quelle. La famiglia di origine, qualunque essa sia, ti cresce ed è qualcosa con cui farai i conti per sempre”. Siamo a Bruxelles e con lui, grazie alla Fondazione Bellonci e all’Istituto Italiano di Cultura diretto da Allegra Iafrate, ci sono tutti i finalisti della 78esima edizione del Premio Strega che sarà assegnato il 4 luglio al Ninfeo di Valle Gulia, a Roma.
Per Donatella Di Pietrantonio, autrice de L’età fragile (Einaudi), Premio Strega Giovani 2024, la famiglia torna ad essere il nucleo fondamentale come negli altri suoi libri, “perché è l’ambiente in cui nasciamo, la cellula e quel brodo di cultura fondamentali nella costruzione della nostra identità”. Quelle che descrive l’autrice abruzzese “sono famiglie disfunzionali i cui disequilibri fanno sì che poi diventiamo degli adulti anche fragili proprio per quello che ci è mancato in quell’ambiente primario o distorto”. C’è tanta famiglia anche in Autobiogrammatica (minimum fax) di Tommaso Giartosio. “La mia è la storia della formazione di un linguaggio e tutto parte dal linguaggio in una famiglia con due persone molto diverse: mio padre, ufficiale della Marina - un uomo che ha sempre avuto ruoli istituzionali e un linguaggio molto formalizzato, autorevole ma vuoto - e mia madre che lo aveva invece prolificante, strapieno di formule e di modi di dire. Una famiglia spaventosamente onesta in cui il figlio fa i conti con il linguaggio della madre malata cercando di trovare il proprio”.
E’ una famiglia “astratta e aerea” quella del protagonista di Romanzo senza umani (Feltrinelli) di Paolo Di Paolo, un libro giocato sui rimpianti in cui “il sogno di famiglia è più marcato di una famiglia reale”. “Non esiste una genealogia del personaggio, spiega, ma un sogno di famiglia possibile che trova qualche volta nel passato, altre nel futuro, ma non nel presente”. Torna al passato anche Raffaella Romagnolo con il suo Aggiustare l’universo (Mondadori) in cui, raccontandoci la storia della maestra Gilla e dell’alunna Francesca, viene fuori, come nel precedente Destino (Rizzoli), “un concetto in cui credo molto, e cioè che famiglia è chi si prende cura”. La pensa così anche Chiara Valerio, accolta come una star dagli studenti dell’European School of Brussels IV, finalista allo Strega con Chi dice e chi tace (Sellerio). “La famiglia che ne è al centro è quella di Lea, la narratrice, formata da un uomo e da una donna con due bambine, ma c’è un concetto più allargato, una comunità di persone che provvedono al benessere degli altri”. “Nel libro è il paese di Scauri (dove è nata, ndr): una famiglia fastidiosa, oppressiva, ma che ti alleggerisce anche di tante cose. C’è una frase in Caro Michele della Ginzburg che mi piace usare sempre quando devo definire la famiglia: Sono terribili gli occhi delle persone che ci amano, ma possono essere anche gioiosi. Ecco, questo credo che sia la famiglia: terribile e gioiosa, come gli occhi delle persone che ci amano”.