Butta la pasta, arrivo! Gli attimi di felicità perduti nel piatto
Il tempo sprecato a far raffreddare la pizza è il tempo della carrozza che diventa zucca
Non parlerò del mio esame di maturità, l’ho promesso ai miei figli che mi hanno aperto gli occhi, portandomi anche testimonianze di loro amici: mamma, a nessuno importa di cosa hai fatto tu trent’anni fa. Non ho obiezioni in merito, e del resto non mi ricordo niente di trent’anni fa.
Concentriamoci quindi sulle questioni più serie, quelle che segnano davvero l’esistenza e i rapporti umani. Ci sono su questa terra persone, e quasi tutte hanno fatto la maturità da decenni, che quando arriva la pizza in tavola (da asporto, oppure direttamente in pizzeria) si ricordano che hanno qualcosa da fare. Vado a lavarmi le mani, dice uno. Aspetta che faccio un vocale, dice un altro. Vado a spostare la macchina, vado un attimo in bagno, vado un attimo in camera, vado un attimo a guardare la tivù, vado un attimo a giocare a biliardo, vado un attimo a montare un armadio, vado un attimo a fare la dichiarazione dei redditi.
Nel frattempo la pizza, da fumante e meravigliosa che era, diventa fredda e incollata al piatto o al cartone. La carrozza si trasforma in zucca nel giro di pochi secondi, si sa, e anche se la pizza io posso mangiarla a tutte le temperature, pure congelata due mesi dopo, trovo che il tempo perduto a farla raffreddare sia proprio il tempo della felicità sprecata. Chi dice: ma non importa, la mangio fra un attimo, non sa che sta portando mestizia nel mondo, o almeno in un appartamento a Roma. Nel momento in cui arriva la pizza, proprio nel momento in cui il profumo della pizza varca la soglia di casa, mio figlio va in bagno. Ha una sveglia biologica che glielo impone, o forse vuole farmi impazzire. Io allora comincio a urlare: c’è la pizza! E nessuno mi risponde. Sono lì, a tavola, da sola davanti a queste quattro (più una di cortesia) pizze sempre meno fumanti, sola con un cane che mi guarda e con gli occhi dice: ma dalle tutte a me, che me le merito.
Poi arrivano, uno dopo l’altro, stancamente, e dalla foga che ci mettono, una pizza piegata in due e infilata in bocca, sembrano non notare la differenza: non avete senso poetico, dico io. Ridono, quindi mio figlio sputa pezzi di salsiccia, ma io non sono mai stata così seria. La pizza va mangiata caldissima, la pasta va mangiata appena scolata, un attimo dopo che i piatti sono stati riempiti. Bisogna essere già seduti a tavola, praticamente con le forchette a mezz’aria, bisogna essere pronti, e soprattutto non bisogna disunirsi. Sennò che succede?, mi provoca mio figlio. “Sennò è brutto”, rispondo io, e vado a cercare, ma solo dopo aver finito la pizza, una poesia di Patrizia Cavalli per dirlo, visto che le mie parole sono inefficaci.
Butta la pasta, arrivo!
Ah che gioia, mi danno da mangiare.
L’acqua però non bolle, non ancora.
Che qualcuno stia lì a scaldare
l’acqua e poi arrivare in tempo
prima che la pasta scuocia
o che magari sia diventata fredda,
in quel momento esatto sempre
un po’ isterico, sì proprio in quel momento
quasi sacro della scolatura,
questa fretta felice prima o poi,
anche ai più disgraziati,
a tutti tocca.
Leggo la poesia tra i cartoni di pizza semivuoti, e in effetti mio figlio dopo qualche secondo di riflessione dice che mi riconosce in quel “momento esatto sempre un po’ isterico”. Quando era piccolo mi dava sempre ragione. Per consolarmi, mangio tutte le croste di pizza fredde rimaste nei piatti.