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abusi e verità

Una storia che racconta anche la mia. Per questo leggerò sempre Munro

Valentina Furlanetto

La figlia ha rivelato che il patrigno abusò di lei da bambina e che la madre rimase con lui anche dopo averlo saputo delle violenze. C’è del tragico, del vile, del meschino e in definitiva dell’umano in tutto questo. E quindi di Munro c’è bisogno di leggerne di più, non di meno

“Disse che le era stato detto ‘troppo tardi’. Che lo amava troppo e che la nostra cultura misogina era da biasimare se mi aspettavo che negasse i suoi bisogni, si sacrificasse per i suoi figli e compensasse i fallimenti degli uomini. Era irremovibile sul fatto che qualsiasi cosa fosse accaduta era tra me e il mio patrigno. Non aveva nulla a che fare con lei”. 

  

Io fatico molto – e con me probabilmente molti lettori – a mettere assieme la scrittura di Alice Munro, così controllata ed empatica allo stesso tempo, con l’essere umano che ha pronunciato questa frase. Eppure quell’essere umano è lei, Nobel per la Letteratura, maestra nell’arte di afferrare e sezionare i sentimenti umani fino ad arrivare – precisa, chirurgica, potente – al midollo delle nostre miserie, le nostre vergogne, le nostre paure, i nostri segreti. 

  

Tuttavia, a meno di due mesi dalla morte dell’autrice canadese, la figlia Andrea Robin Skinner ha rivelato che il patrigno abusò sessualmente di lei e che la madre rimase con lui anche dopo aver saputo delle violenze. In un articolo pubblicato sul  Toronto Star, Skinner ha raccontato il dolore provato quando Munro scelse di sostenere il secondo marito Gerald Fremlin anziché lei. Gli abusi iniziarono nel 1976, quando Skinner aveva 9 anni ed era in visita alla madre in Ontario per l’estate. Anni dopo, ventenne, la giovane lo disse a sua madre ricevendo la risposta che potete leggere all’inizio di questo articolo. 

 

Skinner ha spiegato di aver scelto di parlare della sua terribile storia in modo che i canadesi potessero avere un'immagine vera della Munro. “Volevo che questa storia - la mia storia - diventasse parte delle storie che la gente racconta su mia madre” ha scritto Skinner. “Non avrei mai voluto vedere un’altra intervista, una biografia o un evento che non si confrontasse con la realtà di ciò che mi era accaduto e con il fatto che mia madre, messa di fronte alla verità di ciò che è successo, ha scelto di stare con il mio abusante e di proteggerlo”. Perché questa storia mi turba tanto? Perché è anche la mia. Nel mio caso non c’è abuso, ma c’è stato abbandono. Io non riesco a mettere assieme la brillante e riconosciuta carriera di medico chirurgo che ha salvato vite umane con l’essere umano – il mio padre biologico – che mi ha abbandonato, non mi ha mai riconosciuto, da 52 anni fa finta che io non esista. Oggi è quasi ottantenne e mi dicono che sia una persona integerrima, inflessibile contro la caduta, la bugia, la debolezza. Che paradosso.

   

Non dubito che sia stato un chirurgo eccezionale, che sia grande la riconoscenza di chi è stato operato da lui per un tumore al colon all’ospedale di Castelfranco Veneto e Treviso, dove è stato primario per anni, ma è stato anche un uomo che non si è assunto le sue responsabilità, che va a letto ogni sera con questo segreto, un uomo a cui non  è mai venuto in mente di chiedere: “Ehi, te la sei poi cavata? in che situazione ti ho lasciato? ce l’hai fatta? come convivi con questo vuoto?”.

 

“La fama di mia madre – scrive Skinner – fece sì che la segretezza si diffondesse ben oltre la mia famiglia. Varie persone influenti sono venute a conoscenza della mia storia, ma hanno continuato a perpetuare una narrazione che sapevano essere falsa”. Allo stesso modo anche la mia storia era conosciuta da familiari, amici e colleghi, ma tutti hanno perpetuato la favola del medico probo.

 

Ora si dirà che bisogna separare l’artista/il medico dall’essere umano e io sono d’accordo. I meravigliosi racconti di Munro sono vibranti ma non sentimentali, sono precisi e analitici, minimi ma potenti. Pieni di verità, verrebbe da dire. Se non che ci rendiamo conto che quella verità è stata sacrificata sull’altare della rispettabilità borghese e letteraria, nella bella casa vittoriana in campagna e delle classifiche dei libri. O di una carriera da primario. C’è del tragico, del vile, del meschino e in definitiva dell’umano in tutto questo. E quindi di Munro c’è bisogno di leggerne di più, non di meno.