Il Figlio
Un viaggio a Tor Marancia, Roma sud, attraverso lo sguardo di un bambino
Il documentario "Home" della regista Nina Baratta, girato con il piccolo Valerio Armati, esplora la vita in un palazzo occupato nel quartiere romano, raccontando le complesse realtà della vita di queste famiglie
Le famiglie del quartiere Tor Marancia – che a Roma sud la Cristoforo Colombo separa da quelle della Garbatella e di Ostiense – non sono ovviamente tutte uguali e ognuna vive a modo suo, tra gioie e dolori, poche certezze e troppe cose che non lo sono. Ma c’è di più, perché da oltre venticinque anni, settanta di loro con ben cinquanta bambini, vivono in un palazzo occupato, una condizione che è un irrisolto problema reale, un modo di vivere che è un sopravvivere, entrato a far parte della loro quotidianità. La regista Nina Baratta, sempre attenta con i suoi lavori alle tematiche sociali e alla figura della donna nella maternità, lavora da anni sullo sguardo dei bambini, “che è molto forte e fuori dagli schemi, capace di raccontare con semplicità cose molto complesse”, spiega al Foglio.
Siamo a Fluminimaggiore, nella parte ovest di una Sardegna ancora autentica e incontaminata, e lei con Home ha appena vinto un premio speciale alla VI edizione dell’Andaras Travelling Film Festival, il concorso dedicato al cinema corto di viaggio con la direzione artistica di Joe Piras. “Ho scelto di dirigerlo insieme a Valerio Armati, un bambino di dieci anni che vive con la sua famiglia proprio a Tor Marancia e che avevo conosciuto e premiato al Moscerine Film festival che dirigo e che è dedicato ai bambini”.
“Valerio – aggiunge la regista, fondatrice del collettivo Tutte a casa – lo aveva vinto. È un bambino sensibile e capace con cui ho immaginato la sua vita all’interno di un posto occupato come quello. La storia è tutta costruita attorno a lui, ma realizzarla non è stato semplice, perché ci sono voluti due anni di lavoro per quindici minuti di corto”. Il risultato è un tour a dir poco emozionante, originale e mai scontato nel cuore di quelle persone, nelle stanze, nei corridoi e negli androni di quel palazzo, “simbolo tra i tanti di un fenomeno sociale sempre più frequente a Roma, un’occupazione antica. “Ho voluto togliere le sovrastrutture e ogni pregiudizio per raccontarne la realtà, scevra da giudizi o posizioni politiche”, tiene a precisare la regista. “Stiamo vivendo in un mondo molto complesso e mi piacerebbe dare loro una speranza e stimoli culturali per migliorarsi”. Il risultato è questo corto distribuito da Première Film e prodotto da Tadàn Produzioni. Quindici minuti in cui due autori che hanno in comune una grande sensibilità si sono uniti per documentare una realtà delicata e complessa, al fine di raccontare cosa significa vivere in condizioni come quelle. Il bambino ragiona con i numeri ed è così che ha deciso di formulare le interviste agli abitanti del palazzo che sono di diversa età e sesso.
“Quante lingue parli?” chiede a molti, che rispondono come minimo che ne parlano due, qualcuno persino cinque. Straordinario, considerando il contesto. “Ti rubano a casa?” chiede ad altri, che rispondono quasi sorpresi “cancellando così quell’idea che l’occupazione sia sempre un luogo insicuro”. Nella tragicità e difficoltà trova spazio, per fortuna, anche la leggerezza calviniana, che non è mai mancanza di profondità. Ecco, quindi, che gli occhi del bambino (la macchina fotografica), attraverso quelle domande e quelle risposte, cercano di portare ordine nello spazio sconosciuto dell’occupazione, mentre i tableau vivant ci mostrano cristallizzata la realtà di quei luoghi, lasciando a chi guarda il tempo per respirarli fino in fondo e farli propri. “Quanto sei felice?” chiede ancora lui. “Lo sei all’infinito? Lo sei sempre?”. “Non so se domani sarò felice”, gli risponde una donna ed è in quel momento che ci si augura ancora di più che la Home del titolo – una casa, appunto – un giorno possa davvero essere garantita a ognuno di loro in maniera regolare e senza difficoltà.