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Il Figlio

Il nuovo film di Francesco Costabile, la violenza, l'infanzia e il riscatto

Giuseppe Fantasia

"Familia", presentato alla mostra del cinema di Venezia, racconta la storia di Luigi Celeste, condannato a nove anni di reclusione per aver ucciso il padre nel 2008

Un corridoio, una porta a vetro chiusa che lascia trasparire una luce calda e diversi suoni che sono poi rumori che anticipano così le immagini che devono arrivare.

“Resta qui”, dice un ragazzino di nome Alessandro (Stefano Valentini) al fratello più piccolo Luigi (Francesco De Lucia), coprendogli le orecchie con le mani.

“Quando ci saranno i rumori, si dovrà aspettare. Respira”.

“Respira”, aggiunge. “Li senti ancora?”. E lui: “Sì, e non vanno più via”.

Non andranno mai via neanche a chi vedrà Familia – lo consigliamo vivamente - il nuovo film con cui Francesco Costabile è in concorso nella sezione Orizzonti alla 81esima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, al suo rush finale.

“Un melodramma nero” – lo definisce lui, al suo secondo film dopo il grande successo ottenuto con Una femmina – “che contamina diversi linguaggi tipici del cinema di genere: dal thriller psicologico, al cinema horror fino al film a tematica sociale”. Ed è proprio in questa contaminazione che risiede il suo desiderio di sperimentare, di andare in profondità, rendendo questo racconto universale, coinvolgendo noi spettatori che restiamo lì, passivamente attivi, a guardare, a subire a nostra volta, a stare male, a capire e alla fine, ad applaudire con tutta la forza possibile. Sì, perché se è vero che il cinema ci permette di conoscere microcosmi inaccessibili, di sviscerare emozioni e di aprire la narrazione ad una complessità di sguardo e di pensiero, Familia riesce ad andare oltre, a raccontare una violenza - in particolar modo quella psicologica ed assistita – e a mostrare le ferite profonde che segnano per sempre l’infanzia e le conseguenze.

Nello specifico, quella di quei due ragazzini che ritroviamo adulti (Marco Cicalese e Francesco Gheghi) – in un film che è una storia vera, intima e molto dolorosa: quella di Luigi Celeste che nel 2008 sparò a quell’uomo (Franco; nel film è Francesco Di Leva) per proteggere la madre Licia (una straordinaria Barbara Ronchi) e il fratello dal disordine distruttivo ed irreversibile che non si dovrebbe mai provare o subire. La violenza assistita, quella che Gigi ha vissuto da bambino, si trasformerà in lui in rabbia, facendolo diventare a sua volta un uomo violento vicino ai movimenti di estrema destra. Per nove anni, durante il carcere duro – prima a San Vittore, poi a Opera Milanese e infine a Bollate – è stato salvato dal mantra “Non sarà sempre così”, un grido di battaglia che ha scelto anche come titolo del libro su cui si basa questo film che Costabile ha scritto con Vittorio Moroni e Adriano Chiarelli, prodotto da Tramp Ltd, Indigo Film e O’Groove con Medusa Film, che lo fa arrivare nelle sale il 2 ottobre prossimo. “Denunciare e uscire da contesti tossici relazionali – precisa il regista – non è mai semplice per nessuna vittima di violenza fisica o psicologica. Non è facile per una donna rinunciare al proprio progetto di vita, dire di no al proprio compagno, superare i sensi di colpa, la vergogna, la paura di essere dalla parte sbagliata, di essere giudicata o condannata, perché lo stigma sociale è ancora molto forte”. “Sono stato costretto a commettere un reato così grave, non l’ho scelto io”, ci spiega il ragazzo a Venezia, visibilmente emozionato, come i presenti, del resto.

Era importante che le persone conoscessero la mia storia attraverso le mie parole e quelle scritte nel mio libro e non attraverso la libera interpretazione di un singolo giudice, affinché ognuno potesse avere tutti gli elementi per trarre le proprie conclusioni e solo allora giudicarmi per ciò che è stato, nella sua interezza e trasparenza, qualora fosse stato necessario”.

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