Il Figlio
Carol Ann Duffy indaga in versi l'innamoramento, il rimpianto, l'erotismo
Per la poetessa scozzese la poesia è lo scalpello fragile per estrarre dall’amore un luogo comune che non sia già stato creato, definire verità dove non si pensava fosse possibile o necessario
Non importa chi sia l’oggetto di devozione, in questo caso sempre una donna come l’autrice. Questo disarmante e appassionato sillabario d’amore distillato da una poetica quarantennale, è una magnifica indagine sull’amore in sé, su quella tendenza a trovare connessioni piene di senso tra episodi e impressioni senza relazione tra loro, propria delle emozioni amorose. Siano esse erotiche, complici, di gelosia, protezione o perdita, le parole possono riempire gli interstizi tra esperienza e significato; dire in cosa consista l’innamoramento, la sua trasformazione, la sua fine, il rimpianto.
In Poesie d’amore (Crocetti Editore, traduzione e cura di Floriana Marinzuli e Bernardino Nera), una delle più importanti e premiate poetesse lesbiche, la scozzese Carol Ann Duffy dà forma e prospettiva a sospetti a sentimenti che, anche chi ama ed è riamato, avverte come solitudine, estraniamento da sé, e alla conseguente necessità di vivere per l’altro così da esistere.
Il Fidanzamento diventa quindi una lunga e vulnerabile promessa:
“Rimarrò per sempre, per sempre./Guaderò il fiume,/con indosso la mia gonna di pietre./Fa’ di me la sola”.
L’Assenza dell’amata produce la sua ricerca e ritrovamento in ogni luogo, animale, sensazione, in una progressione di sensi fino all’amplesso:
“Poi il pesce che si strofina sulla gola dell’acqua/ha la scioltezza di un’amante./Poi uno scialle di sole adagiato sull’erba/è un vestito scartato./Poi un improvviso scroscio di pioggia estiva/è la tua lingua.”
Parole aspre traducono l’Adulterio: “Egoistico sonno autobiografico in un letto coniugale”. E il tutto per ottenere cosa? “Per la stessa cosa due volte./L’hai fatto./Cosa. L’hai fatto, no? Scopato. Scopato. No. Quello era/il verbo sbagliato. Questo è solo un nome astratto”.
Per Carol Ann Duffy la poesia è lo scalpello fragile per estrarre dall’amore un luogo comune che non sia già stato creato, definire verità dove non si pensava fosse possibile o necessario: l’orgasmo provoca una rivoluzione dentro di sé analoga al ritrovamento della propria infanzia. “I piccoli suoni che emetto sulla tua pelle/non hanno alcun senso. Fanno di me/un animale che impara le vocali; non che me ne renda/conto, ma li sento/scivolare via oltre le tue spalle, e incollarsi/al soffitto. Aa Ee Iy Oh Uh.” L’amata la sfiora improvvisamente mentre camminano in una via affollata. La banale esperienza crea una fantasmagoria: “Fa l’effetto di minuscoli giardini/che crescono nei palmi delle mani,/invisibili,/dolci, se solo avessero un profumo”. (Entrambe le citazioni da Due piccole poesie di desiderio).
Lo struggimento per l’amore negato è descritto da Carol Ann Duffy nel suo componimento più celebre: Scaldo le sue perle.
L’erotizzante contatto fittizio con la pelle dell’amata è al centro di un monologo di passione della cameriera per la propria padrona. Ha il compito di indossare la collana fino a sera, così che quando poserà le perle “Attorno alla sua fresca gola bianca”, la padrona non sentirà freddo.
Benché la maggioranza delle poesie descrivano relazioni esclusivamente al femminile, la poetessa riesce a rivolgersi all’universale.
Dare sé a un altro o altra è in ogni caso donare uno Spazio in bianco. Amare è anche cancellarsi, diventare uno scafo vuoto, lasciare all’altro un archivio di possibilità di sé da esplorare.
“Nessun giuramento scritto per averti in sposa,/(…)Nessuna preghiera scritta per santificarti,/(…)Nessuna legge scritta per proteggerti,/(…)Nessuna regola scritta per guidarti,/le lascio in bianco,/parole al vento,/tracciate con un ramo lungo il nostro cammino sulla sabbia”.