Il Figlio

Diego De Silva è tornato, con l'assenza di risposte della fine di un amore

Ester Viola

Ogni matrimonio inizia da un amore felice, o qualcosa che sembra avere le forze per durare. Poi bisogna trovare il modo di far quadrare le tare. La storia di Fosco e Alice nel libro di Einaudi, I titoli di coda di una vita insieme

La legge, e soprattutto la giustizia, non c’entrano niente con l’amore. L’amore non è giusto, e non sopporta le regole. E’ per questo che ci rende felici. 

E’ nelle ultime pagine della storia di Fosco e Alice. Hanno un figlio grande, sono sull’orlo del divorzio, anzi sono già più avanti: il ricorso è già depositato in Tribunale. Quattro paginette al cianuro che Alice ha affidato a un’avvocata veloce e dai colpi secchi. Leggono gli atti del processo e invece di dirsi firmiamo, scoprono che non è finita.

Risentimento: è così che sai che dovresti insistere, almeno a voler capire qualcosa. E’ tardi, quindi, ma decidono di prendere altro tempo. Per provare a cercare l’errore - se ti fai abbastanza domande, l’errore lo trovi, si dicono. Domande, di quello è fatto ogni addio, punti interrogativi a perdita d’occhio. E le risposte a “perché è finita?” non possono che essere impossibili, e diversissime. Nel nuovo romanzo di Diego De Silva, I Titoli di coda di una vita insieme (Einaudi), Fosco è uno scrittore e Alice è un medico. Chissà perché leggo e li immagino come gli amanti, alla fine sposati, della Terapia di Coppia. 

Fosco e Alice decidono che non c’è un modo giusto per lasciarsi, ma un posto giusto sì: la casa di campagna dove Fosco ha trascorso l’infanzia e l’adolescenza. E lì si raccontano le due storie che conoscono, e che non sono le quattro pagine di spigoli delle carte presentate al giudice perché omologhi l’addio - il divorzio, l’epitaffio senza sentimenti dell’amore, il certificato che con le faccende economiche siamo a posto, con il calendario dei figli anche e ognuno vada a fare quel che vuole. 

La fine degli amori è una specie di gioco delle stanze. Dopo quella dell’analista, quella del giudice. Alla fine l’ultima stanza, la cancelleria del tribunale. L’obitorio. La sentenza timbrata è l’atto di morte. E gli avvocati sono i poco allegri ciambellani della farsa, archivisti degli epiloghi, la burocrazia dell’addio. 

«Io vorrei isolare il momento in cui ho visto la crepa e ho preso atto della fine, ma non lo trovo, perché non c’è».

Le verità frantumate di De Silva, tagliate apposta a doppia lama, lo stesso garbo per farti ridere e piangere, vengono fuori dalla pagina quasi prima di leggerle, non c’è bisogno di posarci gli occhi sopra.

Le divide in due, le coppie che non funzionano. E quindi tutte le coppie: ci sono quelli che stanno insieme a stento, senza sapere come,  e quelli che non riescono a lasciarsi. Resistere (in nome di cosa?) o non resistere, questo sarebbe l’unico dilemma. Che è quello che decide per te la direzione di tutta la vita. 

Ogni matrimonio inizia da un amore felice, o qualcosa che sembra avere le forze per durare. Poi bisogna trovare il modo di far quadrare le tare in quel malloppo di abitudini, quell’ignorarsi e starsi accanto in differenti misure che è l’amore di chi si conosce da anni. Meritarsi di meglio, sì, ma cosa? Si potrebbe restare, quindi? E quanto a lungo? Quanto può durare un essere umano privato di amorosi sensi? E’ un’anestesia, a un certo punto, l’amore, o è normale non provarlo più?

Ci sono le nuove sistemazioni - amore in assenza della pulsione del desiderio. E Fosco pensa che basti diventare come Cristina e Innocenzo, seduti sui gradini di casa, al paese. Lei sbuccia un pezzo di mela per lui, e gli tocca un braccio. “Ho sempre pensato che fosse quello il modo di amarsi, dopo tanti anni”. Alice no, quegli scontenti non vuole tenerseli, il minimo etico del sentimento è  da pezzenti, meglio niente. Non ci si doveva ridurre a due vecchi amici. Mezze misure non ce ne sono, come non ci sono motivi, un bel colpevole che risolverebbe molto del problema di non volersi più. Non c’è un “sei stato tu”, quando finisce l’amore. E De Silva ha una specialità: ti racconta l’assenza di risposte meglio di chiunque altro.

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