Il figlio
Tutti i “no” che aiutano a crescere e la distopia del terzo gatto
La libertà di dire no, la bellezza di non avere tutto subito ma di doversi meritare il premio, facendo tesoro di un divieto. D'altronde il genitore non deve essere mica amico dei propri figli, fin quando il castello di dinieghi non collassa di fronte a un cucciolo di appena un mese
Le regole sono importanti. Non voglio essere amica dei miei figli, sono la madre, sono il padre, sono un adulto: siamo i genitori e il nostro compito è anche quello di non farci travolgere dal desiderio che ci mettano like. Il nostro compito è anche di metterci seduti scomodi, dalla parte di chi dice no. I no che aiutano a crescere, ha scritto qualcuno. La libertà di dire no, la bellezza di non avere tutto subito. Di meritarsi il premio, di sentirsi responsabili, di fare tesoro di un diniego. Io infatti dico spesso: no, sono fiera e ferma sui miei no, e in particolare ho detto molto chiaramente che non voglio un altro gatto in casa. Sono stata calma, ho esposto i motivi che sono del tutto sensati e adulti: il primo è che i gatti in casa sono già due, il secondo è che abbiamo anche un cane, il terzo è che non abbiamo un giardino e neanche un balcone, il quarto è che vorrei cambiare il divano, da diciott’anni martoriato da lotte intestine. Ci sono anche molti altri motivi, sempre ragionevoli, che riguardano il tempo che passa e che mi vede, anziana e gattara, occuparmi da sola di tutti gli animali del quartiere mentre i miei figli vivono alle Hawaii e telefonano una volta al mese per dirmi che i miei ritmi di vita erano semplicemente inconcepibili e che loro hanno fatto scelte diverse, più in sintonia con la natura e le stagioni. Io intanto riempio le ciotole di croccantini e pulisco lettiere con la paletta e urlo in vivavoce: tornate per Natale?
Questa è solo distopia, perché grazie alla mia capacità di dire no in famiglia abbiamo raggiunto un livello di rispetto reciproco e di comprensione delle ragioni dell’altro, un equilibrio cresce con gli anni. Infatti quando i miei figli hanno mandato nella chat chiamata “bella raga” la foto di un gattino di un mese, grande circa venti centimetri, io ho risposto solo con un pollice. Che significa: carino. Che significa: non mi riguarda. Che significa: quando avrete una casa vostra, con le vostre bollette e i vostri giardini, potrete trasformarla in uno zoo, ma adesso no. Io ero in ufficio, loro erano in treno, di ritorno da un viaggio, non ci vedevamo da qualche settimana e in effetti mi mancavano, ma la casa non era mai stata tanto in ordine, a parte i gatti ovviamente, che in questo periodo cambiano il pelo e si vendicano dei cambiamenti di stagione e dei viaggi di tutti. I gatti di casa mia si arrabbiano ogni volta che vedono una valigia e si mettono a ululare di spalle e a graffiare il divano con maggior foga. Ma adesso, pensavo, grazie ai miei no che aiutano a crescere staremo tutti più calmi. Le foto del gattino piccolo però aumentavano nella chat, forse a causa del mio disinteresse? Forse perché non facevo domande? Un gatto davvero minuscolo, che sta in una mano. Non importa, non è affar mio. Il figlio più piccolo scrive solo: lo hanno lanciato dal finestrino di un’auto a San Lorenzo.
Alzo le spalle, rispondo: mi dispiace. Immagino questo gattino abbandonato che trema, ma insomma io che c’entro. Ricevo una raffica di vocali, di quelli che sembrano accelerati a velocità 2 e invece sono a velocità normale, e non c’è modo di rallentarli, non c’è modo di rimandarli a domani. La domanda adesso è chiara: lo prendiamo mamma ti prego ce ne occuperemo sempre noi. La risposta è altrettanto chiara, calma, serena: non se ne parla. Ma proprio no, adesso no, non è il caso, non c’è tempo, modo, spazio, il divano, la vita, lo studio, le responsabilità, la crescita. Il rispetto! Loro continuano, io metto in campo l’emotività del cane e la gelosia degli altri gatti e sento che sto perdendo terreno. Mia figlia dice che è proprio un segno perché lei la notte prima ha sognato un gatto. Mio figlio dice che lui ha sempre subito le nostre scelte in fatto di animali e che questa volta tocca a lui. Mio marito dice che il gatto è molto carino. Io non dico più niente, voglio almeno che il mio ultimo messaggio sia: no. Voglio essere ricordata come quella che ha detto no. Dopo mezz’ora qualcuno ha detto, ignorandomi totalmente: possiamo prenderlo già stasera? E lì davvero è tuonato il mio più riuscito: no. Lì davvero mi sono sentita ascoltata. Nessuno ha avuto il coraggio di contraddirmi. Ah, come gliele ho cantate! La mattina dopo, alle 9, il gatto è entrato in casa, microscopico dentro una gabbia gigantesca. Il cane l’ha annusato, i gatti hanno soffiato e sono scappati con le code gonfie, io ho detto solo un altro flebile “no”, prima che il gattino, sfinito, si addormentasse dentro i miei capelli.