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Il Figlio

Violenza e fragilità. Una discesa agli inferi che non dimentica mai l'umano

Giacomo Giossi

La storia che Marco Balzano racconta nel romazo "Bambino" non è solo quella di un ragazzo che si trasforma in un carnefice privo di ogni pietà nelle bande fasciste, ma anche di una città, Trieste, che è stata dilaniata e sconvolta dal Novecento

Mattia è solo, abbandonato al ticchettio degli orologi in riparazione nella bottega di suo padre, sono lunghi e interminabili i pomeriggi che costellano la sua infanzia. Non esiste il gioco se non come alternativa poco convincente alla noia e come gesto iniziatico a una violenza fino ad allora compressa che si esprime per la prima volta proprio nel furto di un pallone. Ma più del furto è la prevaricazione sugli altri ragazzini come lui, fino ad allora in divertimento sparso a Campo San Giacomo. L’odio per gli altri di Mattia è quello di chi dirà di se stesso di vivere come un cane sciolto, ma che in realtà poggia da sempre le proprie gambe su fondamenta fragili e probabilmente inesistenti. Le sue origini sembrano non essere in comune con quelle del fratello, bellissimo, che fugge quanto prima da Trieste e da una famiglia tanto taciturna quanto soffocante.

L’identità di Mattia vacilla tra insicurezza e solitudine come una cosa mai certa e sempre in discussione. Sapere chi si è a Trieste sopratutto a cavallo tra le due guerre è un esercizio complesso che richiede pazienza e attenzione oltre che un senso dell’equilibrio mai scontato. Un’educazione all’accortezza che manca a Mattia, tanto più quando sua mamma, Tella, in punto di morte gli rivela di non essere la sua vera madre naturale. Tella se ne va quando non ha ancora cinquant’anni e Mattia è ancora un ragazzo. Non gli resta che un padre taciturno al limite del mutismo, un mulo vero il cui odore di sigaro lo precede come a segnare una linea, una distanza precisa tra sé e il mondo. Nulla sembra smuovere il padre verso la verità, nemmeno la rabbia di Mattia. Nulla il padre vuole rivelare di più di quanto Mattia già sa. Sì, è cresciuto con la rabbia e la noia addosso, ma per suo padre è sempre il solito bocia, un bambino.

 

Marco Balzano con Bambino (Einaudi) scrive un romanzo tanto rapido quanto potente. Un romanzo velocissimo eppure difficile da digerire perché contiene senza sconti la durezza e l’asprezza della Storia quando brucia la pelle e arriva fin dentro alla carne. Perché così fece il Novecento con Trieste dilaniandola e sconvolgendone ogni equilibrio. Un attraversamento di lingue e di potere, di violenza codarda (e codina) e di audacia che ricadde pezzo a pezzo su ogni abitante di una città che da sempre porta con sé e nella proprie famiglie i segni evidenti, le bruciature, di un passaggio che ha lasciato tutti feriti e superstiti. Figli del centro di un ciclone che in pochi anni mutò radicalmente ogni cosa, anche il nome delle strade e il carattere e il viso degli abitanti, a tratti irriconoscibili anche a sé stessi.

La lingua di Balzano segue le vicende di Mattia Gregori la cui inesauribile rabbia si tramuta in cruda violenza, quella delle bande fasciste, manipoli di sbandati in cerca di senso attraverso un potere che delega loro il controllo e l’ordine senza mediazione alcuna. Di quel gruppo Mattia diviene, anche lì, ancora una volta, il Bambino, un soprannome che ora è un nome di battaglia, il mezzo per cercare una gloria e una verità entrambe difficili da ottenere, anche con la violenza. Balzano arriva fino alla fine della Storia, all’esplosione della Seconda guerra mondiale, all’invasione nazista, all’occupazione della Jugoslavia di Tito e poi alle foibe. La Liberazione arriva infine lasciando le ferite ancora tutte aperte. Mattia si trasforma rapidamente in un carnefice privo di ogni pietà. Azzera se stesso azzerando le vite altrui. Il branco fascista diviene la tana dentro cui nascondersi per poi colpire. Anche con Mattia, Balzano arriva fino in fondo, ma non per mettere in scena lo spettacolo (banale) della violenza, ma per rivelare l’umanità che vi sottende, sempre e comunque. Come in una pellicola di Michael Haneke, Bambino è una discesa fredda agli inferi che pure non dimentica mai l’umano e nella sua violenza la sua fragilità.

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