Il Figlio
Non ti sei accorta di niente? La domanda che mi inchioda
Mio marito fumava troppe sigarette, ora ha smesso, ma io non lo sapevo. Non c’entrano i neuroni specchio, ma l’abitudine della memoria: quello che ho visto per anni e anni io continuo a vederlo anche se non c’è più
Non ti sei accorta di niente? Non hai notato niente di diverso? Proprio niente? Sei diventata cieca?
E’ una domanda a trabocchetto, lo so. E’ una trappola. Devo stare calma, prendere tempo. Mia figlia mi guarda, io sorrido fingendo di saperla lunga. Non ho notato niente di niente, il solito disordine, il solito delirio e la cosa mi terrorizza: che cosa è successo? Le guardo i capelli, sono sempre lunghi e sempre dello stesso colore, tatuaggi in più non ne vedo, stamattina ha detto che andava a lezione all’università e io ci ho creduto. Aveva anche il libro di Antropologia nella borsa. Forse suo fratello si è imbarcato su un mercantile invece di andare a scuola. Appena mi libero della morsa del suo sguardo vado a controllare nei porti.
Ma certo che ho notato, ricordarti che sono tua madre, so sempre tutto e vedo sempre tutto anche se non lo dico. Vuoi un caffè? Mi sento furba, ma lei non molla. Ah, e quindi te ne sei accorta? E non dici niente? Cosa ne pensi? Cosa ne penso, cosa ne penso, non è che posso rivelartelo così, devi dirmi prima che cosa ne pensi tu. Mi giro verso i fornelli, l’imbarazzo mi divora e rovescio il caffè, mi scotto una mano, urlo, il gatto cade dal tavolo per la paura. Mia figlia è in trionfo: mamma, non sai di che cosa stiamo parlando. Dici sempre che non ci accorgiamo di niente e proprio tu non ti sei accorta di niente. Ride, saltella, digita cose sul telefono, rovina la mia reputazione, sta dicendo a tutti che figura che ho fatto.
Ho perso, mi ha scoperto, devo rivedere tutta la mia vita degli ultimi mesi, forse anni. Mi sono distratta, ho rinunciato al controllo, e ora chissà che catastrofe mi si sta rovesciando addosso. Farfuglio che sono appena tornata, che ho il raffreddore, forse la polmonite, mi gira la testa, troppe cose a cui pensare, non è colpa mia, pretendete troppo da me. Lei scuote la testa. Mi fascio la mano scottata per suscitare un po’ di pietà. La imploro di dirmi tutto quello che sa, ma lei dice che devo aspettare la sera. Non posso resistere, le offro dei soldi. Mi disprezza perché provo a corrompere mia figlia. Rinuncio, e appena torna a casa suo fratello provo a corrompere lui. Cede subito, intasca i soldi e dice: il babbo ha smesso di fumare da undici giorni. L’hai talmente stressato che una domenica ha fumato l’ultima sigaretta alle sette del mattino e tu non te ne sei neanche accorta.
Ammutolisco, provo a riavvolgere il nastro della memoria. Ricordo fumo, un sacco di fumo. Fumo in cucina, fumo in salotto, finestre aperte e un posacenere colmo di mozziconi sul davanzale. Accendini dappertutto, pacchetti vuoti, pacchetti pieni, i miei occhi al cielo, io che accendo candele mangiafumo che non mangiano il fumo, minacce, preghiere, recriminazioni, colpi di tosse, litigi sui colpi di tosse, un appuntamento con un medico che infila degli spilli nel naso, mio marito che si rifiuta di andarci. Ricordo una guerra freddissima e a un certo punto la sensazione di dovermi arrendere. E adesso? Dovrei esultare, niente più mozziconi che mi inseguono, venticinque al giorno la domenica e qualcuno nascosto nelle tasche della giacca per infestare meglio l’armadio. Ma com’è possibile che non me ne sono accorta? Siamo andati e tornati dal cinema a piedi e non ho notato che non ha acceso nessuna sigaretta, anzi ho pensato: che palle un’altra sigaretta, ma è meglio che sto zitta. Non c’entrano i neuroni specchio, ma l’abitudine della memoria. Quello che ho visto per anni e anni io continuo a vederlo anche se non c’è più. Hai smesso di fumare, ma perché non me l’hai detto? Volevo vedere se te ne accorgevi. Va bene, per questa volta ti perdono.