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Il Figlio

Donne in bilico. Tra rivolte e ritirate sentimentali, la solitudine come strada finale 

Michele Neri

I racconti di Monica Pareschi, che ha osservato e immaginato non soltanto le relazioni, quanto le alternative ai margini. Senza mai nasconderci che a contare, alla fine, è ciò che resta da vivere una volta che si è soli

Protagonista dei racconti della traduttrice Monica Pareschi, Inverness (Polidoro, collana Interzona), è un’unica mente oscillante tra ipersensibilità e disincanto, appartenente a generazioni femminili diverse: bambine, liceali, adulte, anziane. Una mente che esperisce la solitudine come conseguenza di entusiasmi traditi o malriposti e che costringe a giustificare la propria esistenza pensando, interpretando eventi, distanziandosi da questi.

 

Sono racconti che svelano gli scossoni provocati dall’incontro indifeso con l’altro – compagne di banco, l’amante occasionale, lo zio malato di mente – quell’accelerazione dell’esperienza di sé provocata dalla gravità nuova, fino al punto in cui è la consapevolezza acquisita a mettere fine all’incanto. E’ la rabbiosa frustrazione di chi, come Elena del racconto I gabbiani, vede trasformare la piacevole, inebriante prospettiva della cena con lo sconosciuto incontrato a una conferenza, nel pantano degli stereotipi maschili su corteggiamento e piacere. “Da sempre assisteva a quell’avanzare maschile nella sua vita, quel premere cieco e indiscriminato che mirava all’annientamento, all’erosione, alla resa, seguito da una ritirata capricciosa, che la lasciava incerta, stordita”. Mentre Bianca, “una tipa magra e con una strana luce febbrosa negli occhi”, (…) si presterebbe a “sentire fino in fondo la voluttà del patire, offrirsi faccia nuda al taglio, lasciarsi aprire in due e mangiare viva”: nel languore di un solitario fuori stagione al mare, potrebbe offrirsi al vecchio guardiano della casa, l’alcolizzato Gheri – come Gary Cooper; darsi a quel nemico affamato. Sarà la volgare insensibilità dell’uomo nei confronti della propria moglie malata, ad allontanare Bianca. 

 

C’è un’agitazione perenne in queste donne in bilico, la tentazione per una penombra appena fuori di sé, la zona proibita in fondo al luna park, condizioni perfettamente esplorate dall’autrice grazie alla materialità del pensiero delle protagoniste; si produce un andirivieni tra annullamento del desiderio e sua rinascita, simile a quell’ora al termine del giorno in cui si è incerti tra lasciarsi andare alla pace notturna o ritentare un rischioso salto nella luce. 

 

Luce che proviene da figure studiate minuziosamente: “P. era bionda e chiara di pelle, e aveva qualcosa di acquoso, e questo dipendeva forse dall’azzurro diluito degli occhi, le palpebre rosa come se le sfregasse di continuo, le ciglia chiarissime”; “Stella era scura e svelta come un piccolo topo, faceva ogni cosa senza sforzo, e tutta la sua persona sembrava perennemente soddisfatta del posto che occupava nello spazio, ad ogni momento. Stella era uno di quegli esseri beati che nel dimenticarsi di sé trovano la propria felicità. Godono del fare e non, come me e gli altri schiavi della coscienza, dell’avere fatto qualcosa”.

 

In quest’analisi di voci e coscienze, di rivolte e ritirate sentimentali, Monica Pareschi mostra equilibrio e sottigliezza anglosassoni. Tutto è osservato senza tremori: chi, senza pudore, dichiara, corteggiando un’altra donna, “Sono felicemente accoppiato” (…) “Con una giovane donna che potrebbe diventare la madre dei miei figli. Ma resto, diciamo così, un curioso della vita”; chi ha rinunciato a vivere in ossequio a un ordine preesistente, come la protagonista di Un bacio, ancora: “Ho studiato, mi sono laureata, sono andata a insegnare in montagna. Sono tornata, ho lavorato, sono rimasta a casa. Non ho sbagliato mai, non mi hai mai vista sbagliare”. Sono i racconti di chi ha osservato e immaginato non soltanto le relazioni, quanto le alternative ai margini, temute, cercate; senza mai nasconderci che a contare, alla fine, è ciò che resta da vivere una volta che si è soli.

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