il figlio
Vieni dal buio, il nuovo romanzo di Mariagloria Fontana
Tu mi uccidi, tu mi fai del bene. Ecco qui tutti i tormenti dell’amore
In letteratura come nella vita, sembra che certi adulteri siano destinati a finire in tragedia. Forse per il carattere di chi li mette in atto, oppure perché entrano in gioco sentimenti forti e contrastanti: la gelosia, l’orgoglio, il possesso. E’ così per la protagonista di Vieni dal buio, secondo romanzo di Mariagloria Fontana edito da Castelvecchi.
Nora sta per sposarsi, è tutta presa dai preparativi: “Al centro della fronte, tra le due sopracciglia curve stazionavano le prime rughe d’espressione, a scapito della bellezza e della gioventù, si prendevano gioco di Nora e della sua inquietudine”.
Vola a Parigi per scegliere l’abito nuziale, un abito bianco, che si adatta “alle curve del suo corpo ma non alle pieghe che sta prendendo la sua vita”. Da tempo è legata a Paolo, un rapporto tanto solido quanto stanco, che forse riesce a portare avanti solo grazie alla compresenza di Max. Con lui vive la passione, il desiderio, tutto quello che alla sua storia ufficiale manca. Purtroppo è difficile (se non impossibile) trovare tutto quello di cui si ha bisogno nella stessa persona: il benessere e il piacere, la stabilità e l’emozione. Come rinunciare allora a qualcosa in nom di qualcos’altro? Forse ci siamo illuse di poter avere tutto, prendere quello che ci serve senza rinunciare necessariamente al resto, come hanno sempre fatto gli uomini, nei secoli dei secoli. Ma continua ad essere più complesso per noi che per loro, storicamente legate a un’idea di purezza - l’abito bianco con cui andiamo all’altare non ne è che un simbolo - che pur standoci stretta non riusciamo a scrollarci di dosso.
Così come possono essere diversi i luoghi del cuore - fra le pagine del romanzo sfilano Parigi, l’amata Napoli e Roma dove Nora vive - si dovrebbe accettare che lo siano anche le persone, al di là della formula di fedeltà pronunciata. Questa triangolazione di luoghi e presenze accompagna tutto il libro, fra dubbi e ripensamenti, durante i pomeriggi nel seminterrato di Max e le fughe con lui a Napoli, presente in tutte le sue contraddizioni, come tante sono le contraddizioni di ogni tradimento. In genere quando si parla di tradimento lo si fa sempre e solo in riferimento a un partner, mentre Marco Missiroli nel suo romanzo Fedeltà azzarda che l’unica davvero importante sia quella verso noi stessi e i nostri desideri. Allora vale la pena riflettere non soltanto sulle eterne formule recitate in occasione del matrimonio, ma anche sulla fedeltà e sul desiderio in termini filosofici.
Sono già le frasi in esergo a svelarci la visione dell’amore che aleggia nel romanzo. Il primo è un lungo brano tratto dalla sceneggiatura scritta da Marguerite Duras per Hiroshima Mon Amour di Alain Resnais: “Tu mi uccidi, tu mi fai del bene”, perché a volte quello che ci annienta è proprio ciò di cui abbiamo bisogno, e a cui non sappiamo resistere. L’altra è una citazione tratta da La possibilità di un’isola di un maestro di cinismo come Michel Houellebecq, e all’”ingenuità romantica” delle donne che non l’hanno letto si riferisce Max nel corso del romanzo. Max è un’anima inquieta, ha già perso la madre e il fratello e trascinerà con lui anche la sua amante.
Forse quella prospettata nel finale è l’unica soluzione possibile, “(…) sarebbe stato bello potersi raccontare tutto, ma certe deviazioni vanno taciute a una futura moglie”. Così come c’è la mistica del matrimonio, c’è anche quella del tradimento, le bugie che diciamo agli altri e quelle che raccontiamo a noi stessi. Il tempo che crediamo debba trascorrere fra un messaggio e la sua risposta, fra un incontro e un altro, fra l’inizio di una storia e la sua fine.