Il Figlio
Le parole di Giulia Cecchettin servono ai genitori, ai figli e alle donne in pericolo
Filippo Turetta ha provato a toglierle la forza, il desiderio, la vitalità. Non ci è riuscito, fino alla fine. Lui si sentiva debole, quindi pretendeva che fosse debole anche lei. Controllo, minaccia e denigrazione: ecco cos’è la violenza
Mi ha commosso la sola idea che Giulia Cecchettin avesse scritto sul diario i quindici motivi per lasciare il fidanzato, che poi è diventato il suo assassino, e prima il suo torturatore psicologico, il ragazzo che la implorava e la minacciava al tempo stesso. Mi ha commosso perché Giulia ha cercato di razionalizzare la sua decisione, anche di farsi coraggio, non voleva dare preoccupazioni a nessuno e non voleva dare dolore, cercava una strada soltanto sua, nella semplicità e nella bontà di una ragazza che aveva già conosciuto un grande dolore.
All’inizio non volevo leggere questi motivi per il dispiacere di entrare nella sua vita intima, nel diario segreto, mi sembrava un altro atto intrusivo verso di lei e verso la sua famiglia. Ma sono le sue parole, sono la sua testimonianza: sono quindi il suo aiuto alle altre ragazze, e anche alle altre donne, più grandi di lei, che sono in pericolo o che lo sono state, sotto schiaffo di un ragazzo (di un uomo) che le controlla, le minaccia e le denigra. Che usa la debolezza ma usa anche la forza perché non muovano più un passo lontano da loro. Che addossa loro qualunque responsabilità, qualunque peso, per togliere tutta la luce. Che le incolpa dei propri insuccessi, delle proprie fatiche. Che non accetta il distacco, così come non accetta di crescere. Sono frasi e gesti molto riconoscibili, già visti, in altre storie, in altre relazioni. Giulia Cecchettin però li ha messi in fila con innocenza, perfino con fiducia nella limpidezza del suo ragionamento, li ha messi in fila per dire a sé stessa che era la cosa giusta. Lo sgomento provocato da quelle parole semplici, scritte per non essere lette da nessuno, è adesso per tutti e davvero può servire a tutti: ai genitori, alle ragazze, ai ragazzi, a noi che riconosciamo il tentativo di annientamento in un ventenne che dice alla ragazza che sostiene di amare: la tua inutile carriera.
L’assassino di Giulia Cecchettin, ha provato ogni giorno a toglierle la luce, a poco a poco (“sei ridicola”, e tu non vai da nessuna parte senza di me, il controllo dell’ultimo accesso su whatsapp, il fastidio se passava del tempo con le amiche, la persecuzione dei mille messaggi al giorno, la rabbia perché camminava da sola verso casa o perché andava alla festa della sorella, il dovere di aiutarlo a studiare), ha provato a toglierle la forza, il desiderio, la vitalità. Non ci è riuscito, fino alla fine. Lui si sentiva debole, quindi pretendeva che fosse debole anche lei, ferma in una cappa di recriminazioni e di controllo, esigeva che non spiccasse il volo se lui non era in grado di farlo. La felicità, anzi la serenità senza di lui era un’offesa e con questo continuo passare dalla rabbia alla disperazione e alla richiesta d’aiuto era riuscito a farla sentire in colpa. Voleva che vivesse con questa cosa intorno al collo del pensiero costante di lui, del dovere costante verso di lui.
Ogni minuto che apparteneva soltanto a Giulia, per pensare a sua madre, per stare con le amiche, per essere fiera della tesi di laurea, per progettare il futuro, era un affronto: era il venir meno a un patto di eternità, il patto che nemmeno una madre può stringere con il proprio figlio (“tutto quello che gli dici per lui è una promessa e prova a vincolarti cosi”). Questi quindici motivi, scritti con fiducia nel futuro e ancora perfino nell’intima bontà di un ragazzo che parlava di vendetta sono le parole da cui partire per discutere di violenza, soprattutto quella che non vogliamo riconoscere.