Il Figlio
Due famiglie diverse, atomi che si attirano, si respingono e si scombinano
Piccoli preludi esplora al microscopio i movimenti delle relazioni dissezionando vite normali e mettendole a nudo. La trama è attraversata da una musica classica che tiene insieme tutte le parti.
Helen Garner è considerata la più importante scrittrice australiana vivente (e versatile: ha scritto romanzi, nonfiction, storie processuali, sceneggiature e diari). Ha più di ottant’anni e sono quasi cinquanta che scrive. Eppure nel resto del mondo la conosciamo da pochissimo: in Italia l’ha portata Nottetempo, per cui è appena uscito il romanzo breve Piccoli preludi (1984), nella traduzione di Milena Sanfilippo. Forse perché Garner non ha mai voluto scrivere del suo paese come di un luogo esotico, e in mente ha sempre avuto un lettore australiano, a cui non deve spiegare cosa sono i dingo, ma semplicemente evocare l’atmosfera di una notte in una zona suburbana in cui ci si addormenta con gli ululati dei dingo alla luna.
Piccoli Preludi racconta appunto della periferia di Melbourne, inizio anni Ottanta: Dexter e Athena Fox – lui è gioviale, la bontà brilla sulla sua faccia un po’ da scemo, indossa camicie improbabili, lei invece rammenda con metodo ma sogna una vita in cui dorme sonni sereni in lenzuola profumate dopo la morte della sua famiglia – vivono in una casa sgangherata vicino al Creek, al fiume, insieme ai due figli. Arthur, la bocca larga da farneticante nato e Billy, con una forma di autismo molto grave mai nominata apertamente – sua madre sogna di buttarlo sotto a un camion. Dexter incontra Elizabeth, una vecchia amica del college, che si tira dietro nella vita della famiglia Fox anche la sorella diciassettenne Vicki e il fidanzato Philip, musicista sbandato e donnaiolo che ogni tanto si sbafa un souflaki con la figlia Poppy (indipendente, vorrebbe solo potersi permettere libri scolastici non di seconda mano). Elizabeth è una tosta, cinica, di quelle che non rallentano quando si avvicinano a una porta automatica, Vicki è diventata adulta troppo presto e prova teneramente a imitare la sorella maggiore.
In questo coro di personaggi tutti scivolano nelle rispettive esistenze, come se capitasse, senza volerlo davvero, e le sconvolgono. Garner disseziona queste vite normali e le mette a nudo. Da una parte c’è una famiglia apparentemente unita, che però si sfalda di fronte all’inserimento di nuovi elementi, dall’altra una sulla carta disastrata, ma abbastanza smaliziata da reinventarsi per sopravvivere. Dexter teme il disfacimento della moralità che secondo lui rappresenta Elizabeth: “Lui aveva paura della vita che immaginava facesse lei; e lei voleva, per una forma di oscuro sadismo, attirarlo lì dentro, dentro quello scabro universo sessuale che esiste all’infuori delle famiglie”, ma alla fine anche lui, approda, chissà quanto nolente, “nell’universo morale della vita moderna”. In questi due nuclei familiari che si intersecano e si sovrappongono, ognuno si comporta come un atomo e la vita semplicemente succede. Garner esplora al microscopio i movimenti delle relazioni e l’apparente casualità e li restituisce con una lingua esuberante, in grado di librarsi in immagini estranee ma estremamente efficaci.
La trama, in secondo piano rispetto ai dettagli illuminati dalla sensibilità di Garner, è attraversata da un sottofondo musicale. La musica, soprattutto classica, tiene insieme tutte le parti, a partire dal titolo: i Piccoli Preludi sono una raccolta di brevissimi brani di Bach, su cui Athena combatte con il pianoforte e persino Billy, afasico, ha l’orecchio assoluto ed emette versi perfettamente intonati e melodici. Sulla musica si apre e si chiude questo romanzo in cui alla fine l’ordine familiare è ricostituito e trionfa la felicità domestica. Se lo racconta una voce così sofisticata si apprezza anche l’happy ending un po’ conservatore.