Il Figlio
Da libro al film, Comencini costruisce la forza delle madri nella Storia
La versione cinematografica del bestseller di Viola Ardone è da un mese uno dei più grandi successi di Netflix: un viaggio epico attraverso la miseria e la generosità dell’Italia del dopoguerra vista con gli occhi di un bambino diviso tra due madri. Entrambe belle e coraggiose, e ognuna disperata a suo modo. Intervista alla regista e sceneggiatrice
Certe volte ti vuole più bene chi ti lascia andare di chi ti trattiene. Una madre lo sa, un figlio un po’ meno, anzi, in certe situazioni, proprio per niente. Quando Antonietta (una Serena Rossi bravissima) decide di far salire suo figlio Amerigo (Christian Cervone, anche lui come sopra) su uno dei cosiddetti ‘treni della felicità’, lo fa solo per il suo bene, per cercare di garantirgli un futuro migliore, anche se per pochi mesi. Insieme a lei, furono tantissime le madri del sud più povero che nel dopoguerra lasciarono salire i loro figli (settantamila bambini) su quei treni per permettergli di passare alcuni mesi al nord Italia con famiglie che se ne prendessero cura per un po’. Un viaggio epico, organizzato allora dall’Unione Donne Italiane e dal Partito Comunista che mostra l’Italia impegnata in uno slancio solidale. Un biennio, quello del 1945-1947, in cui sembrava possibile un Paese unito.
Ed è così che quel bambino di soli otto anni lascia sua madre - poverissima e disperata come la sua città, Napoli (“A settentrione vi trattano come figli”, gli dirà) - per essere accolto da un’altra donna però senza figli, Derna, interpretata da Barbara Ronchi, che fa molta tenerezza anche lei, perché cerca in tutti i modi di capire quel bambino venuto un altro “pianeta” mettendosi al suo livello. Come si spiega a un bambino che deve separarsi dalle persone più care che ha e che deve farlo per il suo bene? Seguono incomprensioni come scoperte – l’amore per il violino e la musica - avvicinamenti imprevisti, gioie e dolori, mancanze e nuove, magnifiche presenze fino agli immancabili confronti, difficili da capire in entrambe le situazioni e direzioni, all’andata come al ritorno. Con Derna, infatti, Amerigo impara e acquista una consapevolezza che lo porta ad una scelta dolorosa che cambierà per sempre la sua vita (Stefano Accorsi interpreta lui da grande), ma non vi diremo di più per non rovinarvi il piacere. “Leggendo il libro bestseller di Viola Ardone, mi sono innamorata di quel bambino, della sua forza e della sua voglia di vivere”, dice al Foglio Cristina Comencini. “Da lì, ho avuto la voglia di farne un film che proposto a Carlo Degli Esposti e che ha accettato subito”.
Prodotto da Palomar, Il treno dei bambini – da lei scritto con Furio Andreotti, Giulia Calenda e Camilla Lugay - è da un mese uno dei più grandi successi di Netflix, un viaggio attraverso la miseria e la generosità dell’Italia del dopoguerra vista con gli occhi di un bambino diviso tra due madri. Sono entrambe belle e ognuna è disperata a suo modo. Sono entrambe coraggiose ed imperfette, ma pur sempre madri, simboli e protagoniste di un tema – la maternità stessa - da sempre molto caro a Cristina Comencini. Basta andare a rileggere uno dei suoi libri o rivedere alcuni suoi film per rendersene conto. “Mi piace raccontare storie private in un contesto in cui la Storia è importante”, tiene a precisare lei. Qui è riuscita a spingersi oltre, a raccontare con coraggio e al meglio una maternità che allora era tormentosa, perché la guerra aveva lasciato tutte quelle donne senza niente: povere, senza marito e con figli da accudire.
La speranza e il coraggio di andare contro tutto e tutti potevano salvarle e così è stato. Ma c’è di più. Qui c’è la voglia della regista di mostrare il coraggio di ognuna a non rinunciare mai al diritto di essere madri, ricordandoci che si può esserlo anche diversamente, come le due sullo schermo, che fanno un lavoro su loro stesse e sul bambino per diventarlo appieno, più che al meglio. Solo così si capisce bene cosa ha significato per lei poter raccontare “una storia di speranza e di unione”, una pagina “così bella di solidarietà in un momento di distruzione totale”.