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Il Figlio

La creatività si nutre, quasi sempre, del lato oscuro della vita

Sandra Petrignani

Il suicidio come segno di un'incapacità di vivere e relazionarsi, da quello "imperfetto" dello scrittore Fabrizio Coscia, che ha possibilità di non riuscire, a quello femminile di "speranza contro ogni speranza" dell'autore Eugenio Borgna

Se si suicidano uomini di potere o cavalieri d’industria, si sospettano loschi intrighi, omicidi mascherati. Se a suicidarsi è uno scrittore, un pittore, un musicista, un poeta, la causa è un’inguaribile infelicità esistenziale che affonda le sue radici nell’infanzia. Non necessariamente dolorosa. Perché ci sono infanzie idilliache, che lasciano in personalità fragili l’eredità insostenibile di un rimpianto autodistruttivo. Scrive Fabrizio Coscia nel suo avvincente "Suicidi imperfetti" (Editoriale Scientifica): “La creatività si nutre, quasi sempre, del lato oscuro della vita”. Più avanti aggiunge che il suicidio “rappresenta la tragica e ineluttabile conferma che chi pratica l’arte – quando non bara, non mercanteggia o non si mette in posa – lo fa ingaggiando una battaglia per la sopravvivenza”.

Siamo vicini al pensiero di Rosa Montero in Il pericolo di essere sani di mente (Ponte alle Grazie): praticare una qualche arte è un modo per salvarsi la vita. Finché regge. “Se solo fosse possibile uccidere non il dolore, ma la parte di noi che sembra incapace di affrontarlo…” riflette Susanna Schimperna in un libro del 2020 dedicato allo stesso tema, L’ultima pagina (Iacobelli), riservato però unicamente agli scrittori, da David Foster Wallace a Pavese a Virginia Woolf. Protagonisti che tornano, fra i molti altri noti e meno noti, nel testo di Coscia che si apre proprio con Foster Wallace: pur avendo due genitori comprensivi e partecipi non riuscì mai ad aprirsi con loro. 

S’impiccò a una trave a 46 anni e nemmeno i suoi cani, cui era affezionatissimo, riuscirono a trattenerlo. Forse un eccessivo legame con gli animali più che con gli esseri umani, può essere un segno di quella incapacità di vivere e relazionarsi che si riscontra in diversi tentativi, riusciti o meno, di suicidio. Secondo Coscia, che segue un itinerario filosofico, non solo biografico, nei suoi racconti, ogni suicidio è “imperfetto” perché ha la possibilità di non riuscire, anzi vorrebbe non riuscire. Lo dimostrano i ripetuti tentativi fallimentari di tanti, o certe brutalità contro il proprio corpo di chi ha la mano non fermamente decisa. Sarah Kane lo fa all’apice del successo a 48 anni in un modo improbabile. S’impicca – non si strozza, s’impicca – con i lacci delle sue scarpe, durante un ricovero ospedaliero d’urgenza per una delle sue tante crisi di nervi. Poi ci sono le apparentemente più dolci morti per acqua, dalla Woolf a Paul Celan. Cesare Pavese, in attesa d’impasticcarsi in una camera d’albergo e aver gridato ai quattro venti di volersi sopprimere, ha chiamato al telefono chiunque, per un po’ di compagnia, prima di decidersi. Scrittore e poeta ammiratissimo, era un editor fra i più potenti.

La sua infanzia non era stata infelice, e nemmeno felice, ma poi si cresce e c’è il destino che si mette di traverso. Donne o uomini che non rispondono al nostro amore, solitudine, paura di invecchiare e soprattutto paura di morire senza sapere quando e come. Il suicidio è un potente agente di controllo. Se tutto va bene, decidi tu quando e come. Anche se può capitare l’imprevisto, come nella spettacolare sanguinosa morte in diretta di Mishima, dove andò tutto storto, o in quella disperata e solitarissima di Salgari. Il pittore Mark Rothko, dopo aver dipinto nella sua non lunghissima esistenza (67 anni) grandi tele prevalentemente nere, si fa ritrovare nudo in un lago di sangue, uscito dalle arterie recise. 

Forse ha ragione Eugenio Borgna quando nell’appena uscito ultimo libro L’ora che non ha più sorelle, sul suicidio femminile (Einaudi) ipotizza che il suicidio sia “speranza contro ogni speranza”. Sta raccontando la vita dolorosa di Antonia Pozzi che come quella di altri geni femminili è stata segnata “dalla distrazione e dalla noncuranza, dall’indifferenza e dalla solitudine”.
 

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