Il Figlio
Simone Veil, la donna del secolo, da Auschwitz all'Europa. Contro i totalitarismi
Si chiude la trilogia che ha permesso in in vent’anni al regista francese Olivier Dahan di mettere in scena il ritratto vibrante di un’artista, di un’attrice e di una donna politica, dando forma a un racconto psicanalitico e intimo della sua innovativa visione e innegabile carisma
Olivier Dahan chiude con "Simone Veil. La donna del secolo" una trilogia aperta con La Môme nel 2004 e con Grace de Monaco nel 2014. In vent’anni il regista francese ha dato forma al ritratto di un’artista, di un’attrice e di una donna politica. Una possibilità - quella di chiudere la trilogia - offertagli proprio dall’attrice protagonista di Simone Veil, Elsa Zylberstein che ha prodotto il film e ha permesso a Dahan di ritornare dietro la macchina da presa quando dava ormai per conclusa la sua esperienza al cinema.
A differenza di Pablo Larraín, anche lui autore di una trilogia al femminile con Jackie (2016), Spencer (2021) e Maria (2024), Dahan non abbandona ossessivamente la camera sulle spalle delle protagoniste, ma preferisce dare forma a un racconto psicanalitico e intimo delle sue eroine. Le immerge nel contesto storico e politico, offrendo così al pubblico uno sguardo ampio - a tratti anche pedagogico - sul loro tempo e sulla loro capacità di trasformarlo che nel caso di Simone Veil si palesa con un’innovativa visione politica e un innegabile carisma. Nata nel 1927 a Nizza da una famiglia laica di origini ebraiche, Simone Veil lotterà instancabilmente contro i grandi totalitarismi del Novecento e contro le ideologie che ne fomentarono tragicamente l’impatto sulla società.
Deportata con la famiglia nel campo di concentramento di Auschwitz a soli sedici anni, Simone sopravviverà insieme alle sorelle Madeleine e Denise perdendo un fratello ed entrambi i genitori. Tra le prime donne magistrato di Francia, divenne un alto funzionario di Stato dedicandosi alle condizioni delle carceri francesi che visitò instancabilmente, attraversando più volte il paese. In particolare si occupò delle prigioni in Algeria che durante la guerra d’indipendenza algerina offrivano condizioni paragonabili più a quelle di uno stato totalitario che a quelle di una democrazia. Veil ottenne condizioni migliori e visite mediche periodiche, pur avendo contro di sé la supponenza dell’irremovibilità conservatrice e maschilista dei vari Grand commis. La sua infaticabilità e la sua testardaggine divennero ben note nei corridoi dei ministeri, ma al tempo stesso, come mostra efficacemente il film di Olivier Dahan, non fu facile per lei gestire e far comprendere il proprio ruolo di donna pubblica alla sua stessa famiglia. Antoine Veil - suo marito - pur sostenendola visse con incertezza il suo impegno publico che la portava lontana dai figli.
La crisi si risolse con un lungo confronto che portò Simone Veil a optare per la carriera politica. Nel 1974 divenne così ministra della Salute e mise al centro dell’attenzione pubblica il dramma dell’Aids allora ancora segnato da uno stigma di colpevolizzazione del malato. Convinta europeista, nel 1979 abbandonò il governo francese per guidare una lista d’ispirazione liberale alle elezioni europee. Fortemente attaccata dal Front National di Jean-Marie Le Pen, Veil visse forse la sua stagione più difficile nel ritrovarsi al centro di un dibattito che non si limitava a una critica politica, ma avanzava minacce esplicite nei suoi confronti. Eletta quale prima donna dell’assemblea, Simone Veil fu la prima figura politica davvero europea e capace d’incarnare i motivi stessi dell’Unione con le sue ambizioni d’inclusione tra paesi che fino a pochi anni prima si erano posti su fronti avversi.
Il film offre un ritratto vibrante, con un movimento fatto di continui flashback in cui la bambina si rispecchia nella donna adulta, la madre nella figura politica. Non esiste discontinuità o separazione nella vita di Simone Veil. Una lezione ancora tutta da scoprire e che il film - grazie alla bella interpretazione di Rebecca Marder ed Elsa Zylberstein - offre agli spettatori di un XXI secolo confuso e violento.