Il Figlio
Presente e passato a Palermo: Roberto Andò si misura con la memoria
Quello che resta di noi nei nostri ricordi e quello che resta nella realtà di noi, in una sovrapposizione continua tra impressioni e verità, tra falsificazioni e ricerche di un senso diverso. Il coccodrillo di Palermo non è solo un romanzo sulla memoria ma un testo che sorprende sia mascherando che rivelando
Rodolfo Anzo è un regista di documentari che vive e lavora a Roma e che non torna da oltre dieci anni a Palermo, sua città natale e dove ancora c’è la casa dei suoi defunti genitori. Rodolfo Anzo è anche la distorsione del nome dell’autore del libro, anch’egli regista palermitano che vive a Roma, Roberto Andò, che con Il coccodrillo di Palermo (La nave di Teseo) scrive un romanzo sulla memoria e sulla sua percezione. Quello che resta di noi nei nostri ricordi e quello che resta nella realtà di noi in una sovrapposizione continua tra impressioni e verità, tra falsificazioni e ricerche di un senso diverso, di una ragione nuova. Una discesa verso le origini, verso un’infanzia dettata da un mistero. Un’indagine figlia di uno scasso: qualcuno è penetrato nella vecchia abitazione dei genitori e la vicina avverte Rodolfo, che è costretto, di malavoglia, a ritornare a Palermo.
Arrivato a casa, Rodolfo avverte per la prima volta come reale la scomparsa dei genitori, tutto attorno a lui parla di un tempo isolato e chiuso nel passato. Ha trascorso tre ore di viaggio in stato d’ipnosi, la partenza da Roma come una fuga e l’arrivo in Isola d’infinita malavoglia. Mentre l’auto corre verso Palermo attorno a lui il paesaggio si pone come un’infinita natura morta. Ma la scoperta di un gesto imprevisto e ribelle lasciato dal padre accende subito la sua curiosità e muta improvvisamente il tono del romanzo stesso. Un movimento voluto (dal padre), ma in qualche modo capitato per caso. Il padre poliziotto ha infatti lasciato nella cassaforte di casa sei bobine magnetiche contenenti alcune intercettazioni telefoniche. Un gesto di ribellione, un atto fuori dalle regole che obbliga Rodolfo a una presa di coscienza verso un presente che lo vede attraversare le strade di Palermo e il loro vociare insistito come un brusio che attende requie. Un coro che sussurra forse indizi. Un’indagine che è anche una riscoperta di Palermo all’interno di una serrata lotta del protagonista con la propria memoria.
Un gioco pericoloso e a tratti doloroso per Rodolfo che ha il sapore di un omaggio a Leonardo Sciascia. L’autore di Racalmuto appare come un sempiterno riferimento per chi acceda all’Isola e al suo carattere, anche se in questo caso Roberto Andò filtra e diluisce in minime rifrazioni di luce la sua presenza affiancandola a un inedito Virgilio impersonato da Thomas Bernhard. Lo scrittore austriaco conduce i fili della narrazione, Roberto Andò gli fa aprire ogni capitolo con una citazione in esergo che diviene un avvertimento per il lettore come anche per Rodolfo.
Insieme alle sei bobine il protagonista trova anche un messaggio del padre con i nomi delle sei persone a cui vanno restituite. Un percorso a ritroso nella vita del padre che è la riscoperta di un uomo che cambia davanti agli occhi del figlio, in un’indagine che mette in discussione i fondamentali della vita paterna. Fu semplicemente un poliziotto e servitore dello Stato o anche una figura ambigua affiliata ai Servizi Segreti? L’indagine porta Rodolfo a mettere in discussione le proprie certezze, ma al tempo stesso a chiarire i propri sentimenti contraddittori rispetto a un padre con cui dimostra anche delle impreviste affinità.
Il coccodrillo di Palermo non è solo un romanzo sulla memoria e nemmeno un divertissement noir, ma un testo che sorprende sia mascherando sia rivelando, perché la memoria non è un fatto del passato, ma un obbligo del presente a cui Roldofo è stato chiamato all’improvviso a rispondere, ritrovando infine nel padre parti nuove di sé. “Un illusionista nient’altro che un illusionista”, scrive Thomas Bernhard offrendo un’idea precisa di Palermo, della memoria e del camminare al sole.