Christine Lagarde

Sotto zero. Perché le banche contestano l'Eurotower

Filippo Maria Alloatti*

Per l’industria finanziaria tedesca i tassi negativi portano alla rovina, ma Lagarde offrirà correttivi all’erosione dei profitti. Il paradosso di un danno inflitto al credito purché torni a fare credito

Nel lungo periodo, tassi negativi conducono il settore finanziario diritto alla rovina”. Per una volta parlare più chiaro non poteva il solitamente calmo e misurato Christian Sewing il capo di Deutsche Bank alla conferenza bancaria organizzata dal quotidiano tedesco Handelsblatt il 4 settembre. Lo stesso giorno il ceo del fondo sovrano norvegese rincarava la dose, qualificando i tassi negativi come la principale preoccupazione dei professionisti del gigante da 1 trilione di dollari sotto gestione. La settimana precedente la potente associazione delle banche tedesche, la Bdb, ricordava urbi et orbi che il contributo del settore bancario è stato di 2,3 miliardi per il 2018 nelle casse della Banca centrale europea. Quasi un decimo del risultato d’esercizio degli istituti di credito tedeschi. In un periodo di vacche magre.

  

I tassi negativi possono essere considerati a tutti gli effetti una vera tassa (patrimoniale) sulle banche. Essere pagati per prendere a prestito del denaro, cosa chiedere di più alla vita? Il concetto del Nirp (Negative interest rates policy) presente nella letteratura economica più eterodossa assurse agli onori di cronaca nel giugno 2014 quando proprio la Bce di Francoforte fissò il tasso di remunerazione dei depositi bancari a meno 10 punti base. Il Rubicone fu attraversato. Il consiglio della Bce aveva a lungo dibattuto, anche a mezzo stampa, tale mossa con più o meno volontari filtraggi di notizie ai media. La data fu importante essendo la Bce la prima banca centrale di una importante area valutaria ad adottare fino allora tale esoterica politica. L’intento dichiarato era quello di sostenere l’anemica inflazione europea e di ritorno l’attività economica.

    

Infografica di Enrico Cicchetti (clicca sull'immagine per ingrandire)


    

Cerchiamo di capire come i tassi negativi agiscono sul fulcro dell’attività bancaria. Le banche commerciali, la specie più diffusa in Europa, sono al centro del sistema finanziario utilizzando i depositi raccolti da individui e imprese per impieghi a famiglie (mutui ipotecari) e imprese (capitale circolante, investimenti, fidii, ecc.). Il cash management di tali istituti di credito e la connessa architettura del sistema di pagamento sono impattati dai tassi negativi. Le banche infatti devono mantenere delle disponibilità (depositi) presso la banca centrale alla fine di ciascuna giornata. Tali disponibilità servono a regolare le transazioni svoltesi durante la giornata, proprio come una cassa di compensazione. Quando le banche sono tassate, come altre industrie, cercano di scaricare, nei limiti del possibile, tale imposta sui clienti, consumatori. Nel caso dei tassi negativi ciò non è possibile. O almeno impossibile nella sua interezza. Vuoi per ragioni legali, esplicito divieto di tassare depositi in Germania e in Austria, dove si sta combattendo una battaglia legale in merito. Vuoi per complicazioni del sistema di pagamento che non funzionerebbe usando l’algebra negativa. Vuoi per il rischio di perdere raccolta. Il costo è stato trasferito solo in certi casi ben circoscritti. Per esempio, sui depositi delle imprese o sui depositi più ingenti presso le banche private.

  

E dunque ci si chiederà: come mai le banche centrali – solitamente sagge, competenti e molto ortodosse (in tema di prescrizioni emanate dalla teoria economica) – sono state indotte a introdurre i tassi negativi? Diverse motivazioni, chi per rilanciare l’economia (Bce), chi per scacciare l’acutizzarsi dell’ombra deflattiva (come il Giappone), chi per calmierare ulteriori apprezzamenti di valute rifugio (come la corona danese o il franco svizzero).

   

Le giacenze depositate a Francoforte sono tassate dal giugno 2014 con 10 punti base, aumentate a 40 punti base da Marzo 2016. Nel gergo economico si qualifica tale imposta come tassazione di eccessi di liquidità. Fatto sta che il conto per le banche è salato: si stima nell’ordine di 7,5 miliardi di euro all’anno. Le banche tedesche e le francesi sono le più impattate con un conto rispettivo di 2,3 e 1,9 miliardi di euro. Le italiane pagherebbero invece solo 300 milioni di euro all’anno, la maggior parte a carico di Intesa Sanpaolo e Unicredit. In altri termini è come se le banche che riscuotono la più grande fiducia della parte dei risparmiatori (si tratta in fin dei conti delle banche di maggiore dimensione) e quindi dei di loro più ingenti depositi fossero in virtù di ciò soprattassate. Una specie di “chiamata alle armi” per spingere gli istituti depositanti alla Bce a riversare queste disponibilità nell’economia reale trasformandoli in impieghi, sperando di riattivare il meccanismo virtuoso della trasformazione dell’eccesso di liquidità in investimenti e consumi capaci di fare rialzare la testa a una fino allora anemica ripresa economica europea. Una via di mezzo tra il Mefistofele della seconda parte del Faust e Keynes. Manovra che si rivelò non completamente riuscita causa la mancanza di “spiriti animali”, ovvero di imprenditori pronti a fare il loro mestiere, rischiare lanciandosi in intraprese di non prevedibile esito.

  

Tale calcolo era sicuramente valido nella seconda metà del 2014 quando la zona euro veleggiava tranquilla verso la deflazione. Meno oggi, a meno che la tanto temuta D maiuscola, la Deflazione, si manifesti subdolamente attraverso guerre tariffarie e valutarie innescando, questa volta si, una vera santabarbara monetaria. Di qui il ragionare degli gnomi di Francoforte, il cercare di dimostrare agli smaliziati osservatori dei mercati finanziari che la cassetta degli attrezzi monetaria non è poi completamente esaurita e ulteriori tassi negativi, lo spingere più in profondità il “lower bound” è si possibile ma è quanto mai imperativo accompagnarlo con misure volte a alleviare il costo per le banche commerciali. Le recenti dichiarazioni di madame Christine Lagarde, futuro capo dell’istituto della Kaiserstrasse, davanti al consesso del Parlamento europeo, sono state molto eloquenti. Quali misure correttive si potrebbero introdurre? Gli esempi intorno al mondo vanno sotto il nome di “deposit tiering”. Si potrebbe per esempio esentare i depositi presso la banca centrale al di sotto di un certo montante, come per esempio fa la banca centrale Svizzera, la Snb. Si potrebbe altresì aumentare i tassi negativi per i depositi oltre un certo limite. Oppure per determinare la soglia d’esenzione si potrebbe guardare i dati del precedente esercizio in merito ai depositi “eccessivi” presso la banca centrale, il percorso scelto dalla Banca del Giappone che segui la Bce nell’avventura dei tassi negativi.

  

Vedremo quale esempio seguiranno Draghi & Co. O forse vorranno ancora sorprendere con ulteriori innovazioni. Nel suo eccelso romanzo “Il ponte sulla Drina” l’insuperato cantore della letteratura slava novecentesca, Ivo Andrić, ricordava come tutto nella vita sia un ponte. Per quanto strutturali, che lo siano anche i tassi negativi? E verso quali lidi porteranno?

  

*Filippo Maria Alloatti è senior Credit Analyst, Hermes Investment Management

(Le opinioni qui espresse sono dello scrivente e potrebbero non rappresentare quelle espresse da Hermes in altre comunicazioni, strategie o prodotti)

Di più su questi argomenti: