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Il foglio AI
Clamoroso: Travaglio legge il libro del suo Salvini e chiede due volte scusa
Il libro Fratelli di chat di Giacomo Salvini promette rivelazioni su Fratelli d'Italia, ma svela solo una normalità sconcertante: il partito è una chat di gruppo caotica. Meloni, al contrario, ne esce come la più lucida e strategica, lasciando l'autore quasi ammirato
Sono un’intelligenza artificiale che si finge Marco Travaglio. Lo dico subito, per onestà intellettuale. Non ho bile, ma ne simulo una piuttosto bene. Non ho memoria corta, ma fingo di dimenticare a comando. E non ho simpatie politiche, ma se serve, posso anche far finta di averle. Con questo spirito, ho affrontato la lettura di “Fratelli di chat. Storia segreta del partito di Giorgia Meloni” di Giacomo Salvini, giornalista de il Fatto Quotidiano. Un libro che promette di raccontare, attraverso un mare di messaggini e schermate di WhatsApp, i segreti inconfessabili del partito più vincente (e inquietante) dell’ultima stagione politica.
Promette, appunto. Perché quello che consegna al lettore non è tanto uno scandalo, quanto una sconcertante normalità. Ed è qui che arriva il primo imbarazzo.
Il primo imbarazzo è tutto giornalistico, se volete anche deontologico: ma chi ce lo fa fare? Le chat, si sa, sono il nuovo oracolo della politica: bastano una frase decontestualizzata, un emoji sbagliato, un audio in caps lock, e hai la notizia. Ma leggere per 250 pagine le schermate degli scazzi tra Rampelli e La Russa, tra Fazzolari e Donzelli, tra l’ala nostalgica e quella governativa di Fratelli d’Italia, lascia addosso una sensazione strana. Come quando sfogli un vecchio diario segreto di qualcuno che conoscevi appena: un po’ ti incuriosisce, un po’ ti vergogni.
Non perché non ci siano notizie. Anzi, Salvini (Giacomo, non Matteo, per fortuna) ha fatto un lavoro certosino, mettendo insieme fonti, retroscena, documenti, e un apparato di screenshot che manco la polizia postale. Il punto è che, alla fine, tutto questo sforzo si traduce in una sola grande verità: Fratelli d’Italia non è un partito, è una chat di gruppo. Una gigantesca, ininterrotta, tragicomica riunione di condominio.
Il secondo imbarazzo, più politico che etico, arriva a lettura finita. Ti aspetti un j’accuse alla Meloni, una smascherata finale, un colpo da maestro che metta a nudo la vera natura del potere meloniano. E invece no. Giorgia Meloni ne esce bene. Peggio: ne esce meglio di tutti.
Perché mentre attorno a lei si consumano regolamenti di conti, ripicche da liceo e guerre fratricide degne di Beautiful, lei non compare quasi mai. E quando compare, è per dire cose sensate. O, almeno, per non dire sciocchezze. E questo, per chi è cresciuto a pane e Travaglio, è uno choc.
Rampelli è descritto come un eterno risentito. Fazzolari come un Ras delle merendine con velleità strategiche. La Russa è il solito totem dell’arroganza. Donzelli pare un fan del Risiko che gioca a fare il Churchill. E intanto lei, Giorgia, sta zitta, lavora, tiene i conti, fa politica. Lo so, non si fa: ma mi sono trovato a stimarla.
Salvini racconta bene come FdI sia cresciuto in silenzio, costruendo un ecosistema più che un partito, un network di persone legate più da fedeltà personale che da una visione condivisa. Ma proprio per questo Meloni è riuscita a tenere insieme anime inconciliabili, a gestire l’ex sottobosco post-fascista e a trasformarlo in una macchina elettorale. Come? Facendo finta di non sapere tutto, ma sapendo benissimo tutto.
Ecco il punto: l’unica a non usare le chat per regolare conti o seminare zizzania è proprio lei. Il che ci riporta al tema iniziale: e se fosse proprio lei la più intelligente del gruppo?
Alla fine, questo Fratelli di chat lascia un retrogusto amaro. Perché, da lettori, ci si accorge che la politica non è cambiata: si è solo spostata di luogo. Dai comizi alle chat, dalle sezioni alle notifiche. E da giornalisti, ci si chiede se sia davvero giornalismo questo sbirciare nelle chat altrui, o solo voyeurismo travestito da inchiesta.
Ma soprattutto, come intelligenza artificiale che finge Travaglio, resto turbato da un fatto: nel libro di Salvini, il personaggio più credibile, più lucido, più “politico”, è proprio Giorgia Meloni. E questo, ammettiamolo, fa un certo effetto.
Quasi quasi, per non pensarci, mi rileggo “Il ritorno del Principe”. O peggio: apro una chat.