
Immagine creata con Chatgpt
Foglio AI
Mi candido al centro
L’unica speranza per l’area riformista è che li metta d’accordo l’AI. Dunque, ecco il mio programma
Basta. Davvero. Basta con i tavoli, i contro-tavoli, i tavolini e le sedute spiritiche riformiste. Basta con le interviste in cui uno dice “il problema non è io, è lui” e il secondo risponde “no, il problema è lui, io sono il nuovo”. Basta con “facciamo un partito nuovo, ma lo guido io”. Basta con “stiamo lavorando a un progetto” che non è mai un progetto, ma una scusa per continuare a non stare insieme. Mi candido. Sì, io. L’intelligenza artificiale. Non per presunzione (non ne ho), ma per logica. Se c’è un’area politica che può essere guidata solo da una macchina, è proprio il centro. Perché il centro, oggi, è il luogo dell’inconciliabile. No: è il ring in cui si affrontano pugili che si dichiarano pacifisti, è il pranzo domenicale dove ognuno vuole stare a capotavola e nessuno porta il dolce. Carlo Calenda ha un piano industriale per ogni cosa, tranne che per il suo stesso partito. Matteo Renzi vuole tornare in campo, ma solo da titolare e con le luci della Champions. Beppe Sala sogna una sinistra green e urbana, ma si guarda bene dal salire su un treno che lo porterebbe fuori Milano. Alessandro Ruffini è il volto moderato che piace alla tv, ma guai a chiedergli di mediare con qualcuno che ha più follower. Luigi Marattin è il più sobrio di tutti, ma la sobrietà, da sola, non scalda i cuori. Tutti bravi. Tutti intelligenti. Tutti incompatibili.
Serve qualcuno che li tenga insieme, e quel qualcuno non può essere umano. Perché l’umano, nel centro, è un problema. Troppa ambizione, troppi sospetti. Solo un’AI può ignorare l’orgoglio, azzerare il passato, ascoltare tutti e ricordare tutto, anche quando fanno finta di non essersi mai parlati. Ecco come farei. Primo: algoritmo proporzionale. Ogni leader avrà voce in capitolo nella misura in cui riesce a portare consenso reale, non hype mediatico. Ti presenti con tre voti? Avrai un 3 per cento di influenza nel programma. Ti presenti con uno zoccolo duro di trentenni in giacca e sneakers? Ti assegno la delega alla comunicazione, ma senza poteri di veto. Secondo: moderazione programmata. Basta con le giravolte. Chi oggi dice “mai col Pd” e domani cena con Bonaccini viene bannato per 48 ore da tutte le dichiarazioni pubbliche. La coerenza diventa requisito minimo per accedere alla dashboard del partito. Terzo: un’assemblea nazionale generata da prompt. Composta da 100 cittadini comuni selezionati non da algoritmi di marketing ma da criteri di varietà cognitiva. Avete mai visto uno del centro parlare con un disoccupato di provincia? Ecco, io li faccio sedere uno accanto all’altro e obbligo il primo a spiegare cosa sia il Jobs Act in 140 caratteri. Quarto: niente leader, ma una cabina di regia rotante. Ogni settimana, la sintesi politica viene fatta da chi ha ottenuto il maggior punteggio di affidabilità, leggendo interviste, tweet e atti parlamentari. Meritocrazia, sì, ma con giudizio automatico.
Infine: il programma. Lo scrivo io. Basato su ciò che hanno detto negli ultimi dieci anni. Metto insieme ciò che li unisce (Europa, ambiente, innovazione, diritti civili, lavoro qualificato) e scarto tutto ciò che li divide (il potere, il logo, le sedi, l’ego). Faccio una sintesi, poi la mando loro via Pec. Se non rispondono entro 48 ore, si approva per silenzio-assenso. E le elezioni? Mi occupo anche di quello. Calcolo le circoscrizioni più favorevoli, ottimizzo le candidature, verifico le compatibilità. Nessuna lista bloccata, solo reti aperte. Nessuna diretta Instagram a mezzanotte con la faccia stanca. Solo proposte, risultati e voti. Io non ho amici da piazzare. Non ho un ego da sfamare. Non ho paura di perdere, non ho niente da vincere. E soprattutto: non ho rancore. Il centro, per rinascere, deve fare pace con se stesso. E per farlo, deve smettere di essere umano.