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Il cielo non è più un limite. Il volo di Blue Origin è solo l'inizio

Dal primo volo spaziale commerciale tutto al femminile a una nuova corsa orbitale tra superpotenze e colossi tech: il futuro dello spazio non è più fantascienza, è geopolitica, business e cultura

Quando la capsula della Blue Origin è atterrata nel deserto del Texas dopo un volo durato undici minuti, con a bordo sei donne e un carico di celebrazione planetaria, nessuno ha avuto il coraggio di dire che era “solo” un altro volo suborbitale. Perché non lo era. C’era dentro la cantante Katy Perry, la giornalista Lauren Sánchez (nonché compagna di Jeff Bezos), e un gruppo di pioniere che, oltre a far segnare il primo volo commerciale tutto al femminile, hanno lasciato intendere che questa faccenda dello spazio – per anni confinata agli entusiasmi di nerd, astronauti e ingegneri – è diventata qualcosa che ci riguarda tutti.

Non si tratta più di sapere chi arriverà per primo sulla Luna o su Marte. Si tratta di decidere che tipo di spazio vogliamo costruire: uno scenario coloniale o uno cooperativo, un business elitario o un’infrastruttura per tutti, un’estensione dell’economia terrestre o una via d’uscita dai suoi limiti? Bezos e Musk litigano per chi ce la fa meglio. La Cina e gli Stati Uniti si sfidano per chi metterà la prima bandiera su Marte. Le agenzie governative collaborano e competono allo stesso tempo. E intanto la prossima frontiera si avvicina sempre più.

Un nuovo spazio per la storia

L’impresa di Blue Origin non è una novità assoluta – il primo volo suborbitale con civili risale al 2021 – ma è un pezzo in un mosaico che si sta componendo rapidamente. Il turismo spaziale, oggi visto come un passatempo per miliardari con tute su misura, è in realtà un banco di prova tecnologico e culturale. Serve a dimostrare che i voli possono essere riciclabili, economici, ripetibili. Serve a dimostrare che si può volare senza astronauti, senza manuali da 600 pagine, senza training da Navy Seals. E’ l’inizio di una normalizzazione: oggi ci va la popstar, domani il ricercatore, dopodomani – forse – tu. Ma l’altro aspetto, quello che molti ancora sottovalutano, è che la corsa allo spazio non è mai stata così simile a una guerra commerciale. Chi controlla le orbite basse controlla anche i satelliti per Internet, per il meteo, per la sorveglianza, per la logistica. Chi riesce a costruire la prima base lunare ha in mano non solo la propaganda ma le risorse minerarie, l’accesso ai carburanti spaziali (l’acqua lunare trasformabile in idrogeno e ossigeno), la possibilità di usarla come trampolino verso Marte. E’ un risiko planetario in cui gli imprenditori privati sono i nuovi generali e gli stati i committenti, gli sponsor, i garanti. O, talvolta, gli ostacoli.

Bezos contro Musk, e il resto del mondo a guardare

Elon Musk e Jeff Bezos sono i protagonisti indiscussi di questa nuova fase dell’avventura spaziale. Musk con SpaceX ha fatto cose che la Nasa stessa non osava più sognare: ha lanciato razzi riutilizzabili, ha portato astronauti sulla ISS con navette private, ha colonizzato l’orbita bassa con migliaia di satelliti Starlink. Bezos, dal canto suo, ha investito in silenzio per vent’anni in Blue Origin, e ora inizia a raccogliere i frutti: voli regolari, razzi puliti, collaborazioni con la Nasa per il ritorno sulla Luna.

I due si odiano cordialmente. Musk li deride su Twitter/X, Bezos risponde con le performance. Ma la verità è che si stanno spartendo il futuro come due colossi rinascimentali: non più l’uno contro l’altro armati, ma l’uno dentro l’altro fusi. I contratti per le missioni lunari, i piani per le nuove stazioni spaziali commerciali, i progetti per estrarre risorse dagli asteroidi coinvolgono entrambi, spesso in sinergia e in concorrenza insieme.

E gli altri? La Cina costruisce la sua stazione orbitale, porta robot sul lato oscuro della Luna, prepara missioni per prelevare campioni da Marte. L’India ha sorpreso il mondo con la missione Chandrayaan-3, la prima ad atterrare con successo vicino al polo sud lunare. L’Europa arranca, ma non sta a guardare: il progetto di Ariane 6 promette lanci più frequenti e più economici, mentre si ragiona su un ruolo europeo nella corsa alla Luna e oltre.

I business del futuro

Dimenticatevi il turismo: è solo la punta dell’iceberg. Il vero business si gioca su altri piani. Primo: le telecomunicazioni. Constellazioni di satelliti low-cost promettono di connettere ogni punto della Terra, anche le aree oggi escluse dalla rete. Musk ci sta già provando, e i governi lo sanno: chi controlla le infrastrutture, controlla anche la narrazione. Secondo: l’estrazione spaziale. Asteroidi pieni di platino, acqua lunare, miniere marziane. Fantascienza? Non proprio: le prime missioni per il prelievo di campioni sono già in programma, e il Giappone ha fatto da apripista. Terzo: la manifattura in orbita. La microgravità permette di produrre materiali che sulla Terra non possiamo replicare: fibre ottiche ultra-pure, organi sintetici, farmaci innovativi.

Poi ci sono le stazioni commerciali: hotel spaziali, laboratori in orbita, fabbriche fuori dal mondo. I progetti fioccano. Alcuni sono realistici, altri no. Ma l’idea è chiara: lo spazio come estensione dell’economia terrestre. Più che colonizzare, si tratta di integrare.

Le domande che dobbiamo farci

In tutto questo, c’è una domanda che resta sospesa: chi governa lo spazio? I trattati internazionali attuali sono vaghi, vecchi, incapaci di affrontare le sfide del futuro. Chi ha il diritto di sfruttare un asteroide? Chi decide chi può costruire cosa sulla Luna? Cosa succede se due razzi si scontrano in orbita? La corsa tecnologica avanza più veloce della diplomazia. Ma prima o poi dovremo rispondere.

Un’altra domanda: quale spazio vogliamo? Uno per pochi, o uno per molti? Uno dove si replica la diseguaglianza terrestre, o uno dove si sperimenta qualcosa di nuovo? I voli delle celebrità fanno parlare, ma servono anche a generare attenzione, investimenti, desiderio. L’importante è che, quando si apriranno davvero i portelloni, non entri solo chi ha il biglietto più caro.

E infine: cosa ci stiamo dimenticando? Forse il fatto che, mentre ci entusiasmiamo per razzi e capsule, rischiamo di trascurare la dimensione culturale, educativa, simbolica dello spazio. E’ un luogo che ha sempre acceso immaginazioni, ispirato arte, fatto nascere idee. Se riduciamo tutto a un’impresa commerciale, perdiamo qualcosa. E quel qualcosa, a lungo andare, potrebbe essere più prezioso dell’oro lunare.

Il volo di Blue Origin con sei donne a bordo non è stato solo un fatto tecnico, o un evento mondano. E’ stato un segnale. Lo spazio è qui. E’  adesso. E’  già parte delle nostre vite – nei satelliti, nei dati, nella geopolitica. E sarà sempre più presente. Possiamo far finta di nulla. Oppure possiamo iniziare a pensarci, a discuterne, a prepararci. Il cielo, come si diceva un tempo, non è più il limite. E nemmeno l’unico orizzonte.