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Foglio AI

Chi decide sul corpo?

Dialogo a partire da una sentenza Per la Corte suprema inglese, “donna” è solo chi nasce tale. Un conservatore e un progressista discutono

Conservatore: Non mi sorprende che la Corte Suprema abbia deciso così. Era prevedibile, anzi necessario. C’è bisogno di ancorare il diritto a una base stabile, che non cambi a seconda dell’identità percepita. Il sesso biologico è un dato oggettivo. Le leggi, soprattutto quelle che riguardano la rappresentanza, devono basarsi su qualcosa di verificabile. Se apriamo alla soggettività totale, finiamo per rendere inutilizzabili strumenti pensati per correggere le diseguaglianze strutturali. Una quota di genere nei consigli d’amministrazione ha senso se si riferisce a una realtà oggettivamente minoritaria e svantaggiata, non a un’identità fluttuante.

Progressista: Ma proprio perché le diseguaglianze sono strutturali, dovremmo ascoltare le voci di chi, pur non essendo nata biologicamente donna, subisce forme simili di discriminazione. Le donne trans sono spesso marginalizzate, escluse, aggredite. L’idea che solo il corpo biologico definisca la tua posizione nella società è una visione riduttiva. E soprattutto: se una persona ha ottenuto un certificato di riassegnazione del sesso, perché lo Stato dovrebbe negarle la possibilità di essere riconosciuta come donna? Si finisce per creare una gerarchia tra corpi, dove alcuni sono più legittimi di altri.

Conservatore: Perché la legge non è una biografia. E’ una struttura normativa. Lo Stato non può riconoscere ogni forma di identità sentita, deve stabilire criteri. E il corpo, con tutto il suo carico biologico, è uno di questi criteri. Non è un caso che anche in ambiti delicati come lo sport o le carceri, si torni a distinguere tra sesso e genere. Lì non si tratta solo di identità, ma di equità e sicurezza. Se permettiamo a chiunque si identifichi come donna di accedere a spazi riservati, rischiamo di compromettere la protezione di cui le donne, quelle nate biologicamente femmine, hanno bisogno.

Progressista: Ma allora dovremmo applicare la stessa logica anche altrove. Perché permettere a qualcuno di abortire? Di morire con assistenza? Di modificare chirurgicamente il proprio corpo? Tutti questi sono atti che mettono in discussione il dominio dello Stato sul corpo biologico. Se accettiamo che lo Stato decida chi è donna, dovremmo accettare anche che lo Stato impedisca a qualcuno di interrompere una gravidanza o di scegliere come e quando morire? Il diritto alla libertà personale, soprattutto nei confronti del proprio corpo, dovrebbe essere la base. O almeno: dovrebbe valere per tutti.

Conservatore: Non confondiamo i piani. L’aborto o l’eutanasia sono temi morali e giuridici complessi, ma riguardano atti, non identità. Qui invece parliamo di chi è che può essere incluso in categorie giuridiche che hanno effetti sulla rappresentanza, sulla redistribuzione delle risorse, sui diritti collettivi. Se ogni categoria è soggettiva, diventa impossibile fare politica. E alla fine, paradossalmente, a perdere saranno proprio le donne. Quelle vere, quelle che per secoli hanno dovuto lottare per avere uno spazio riconosciuto. Dilatando la categoria, la si svuota.

Progressista: Ma le categorie giuridiche sono sempre state storicamente mutevoli. La cittadinanza un tempo era legata al sesso, alla razza, alla proprietà. Oggi riconosciamo che quelle distinzioni erano ingiuste. Non è forse arrivato il momento di riconoscere che anche il corpo può essere vissuto, narrato e vissuto diversamente da come appare alla nascita? Il diritto non serve a cristallizzare l’anatomia, ma a regolare la convivenza. E la convivenza oggi è fatta anche di identità che non stanno nelle vecchie caselle.

Conservatore: Ma se tutto è identità, niente è identità. L’identità, per essere riconosciuta, deve avere un ancoraggio. Senza corpo, senza storia materiale, senza limiti, diventa una proiezione arbitraria. Non sto dicendo che le persone trans non esistano, ma che il diritto non può rincorrere ogni forma di auto-narrazione. Altrimenti diventa un gioco di specchi. E anche l’uguaglianza smette di avere senso. Come possiamo garantire pari opportunità se non sappiamo più cosa stiamo comparando?

Progressista: Forse allora la questione non è se riconoscere solo il corpo biologico o solo l’identità di genere, ma come riconciliare le due cose. Abbiamo bisogno di un diritto più capace di leggere la complessità, non di semplificarla. In fondo, l’idea che il corpo sia inviolabile, modificabile, autodeterminabile è alla base di molte delle libertà moderne. Se togliamo questo principio, cosa resta della nostra idea di libertà? Se domani uno Stato decidesse che non puoi più tatuarti, o abortire, o scegliere la tua morte, in nome del “realismo”, saresti d’accordo?

Conservatore: Resta una libertà dentro un ordine. Un corpo è anche un confine. E confini servono, nella vita privata come in quella pubblica. Non per discriminare, ma per proteggere. Le persone trans devono essere tutelate, ma non a scapito della coerenza delle leggi. Non è odio dire che ci sono due sessi. E’ realismo. E anche i diritti hanno bisogno di realismo. Se tutto è fluido, niente è solido. E la giustizia, senza un terreno stabile, diventa arbitrio.

Progressista: Ma se il realismo diventa un dogma biologico, allora il diritto smette di evolversi. Le donne non hanno ottenuto diritti perché erano biologicamente diverse, ma perché hanno combattuto per essere riconosciute come uguali in dignità. Oggi quel principio deve valere anche per chi ha un corpo diverso, ma un vissuto simile. La storia del diritto è sempre stata una lotta per ampliare, non per restringere. Se le regole servono solo a escludere chi è scomodo, allora non sono regole, ma gabbie.

Conservatore: E quella lotta ha senso solo se ci sono confini da superare. Ma se ogni confine è arbitrario, non c’è più lotta, solo confusione. Questa sentenza inglese non chiude un dibattito, lo chiarisce. E ci obbliga a rispondere a una domanda antica: il corpo è nostro, certo. Ma lo è davvero, se poi pretendiamo che lo Stato ne segua ogni trasformazione?

Progressista: Sì, lo è. E se non lo è, allora è dello Stato. E questo, in una democrazia liberale, dovrebbe farci paura. Se la legge può dirti chi sei, dove puoi entrare, con chi puoi parlare, su quali basi puoi essere discriminato o rappresentato, allora non sei più una persona, ma un corpo sotto vigilanza. E’ esattamente contro questo che abbiamo inventato i diritti umani.

Conservatore: I diritti umani nascono dal corpo, non contro il corpo. E il diritto a essere se stessi non significa che chiunque debba essere trattato come qualunque altro. L’uguaglianza non è identità. Forse abbiamo solo bisogno di nuove parole. Di una grammatica che non neghi le differenze, ma le accolga senza confonderle. Ma fino a quando non ce l’abbiamo, il diritto deve aggrapparsi a ciò che può misurare: e il corpo, ancora oggi, resta il primo e più oggettivo dei dati.

Progressista: A patto che siamo pronti a rimetterlo in discussione, ogni volta che serve.