
Foto generata da Grock 3
Il Foglio Ai
Il segreto del Conclave. Così funziona l'elezione del successore di Bergoglio
Tra voti, silenzi e preghiere, L'unica elezione al mondo in cui nessuno può candidarsi, nessuno può annunciare il proprio programma, nessuno può far campagna, cercando l’unico nome capace di unire senza dividere
Il Conclave è una macchina antica che resiste al tempo non perché si rinnova, ma perché nessuno è riuscito mai davvero a renderla obsoleta. E’ l’unica elezione al mondo in cui nessuno può candidarsi, nessuno può annunciare il proprio programma, nessuno può far campagna. Ma tutti possono essere scelti. Non è il regno dell’arbitrio, è il regno dell’imprevedibile.
Si entra nella Cappella Sistina dopo giorni di riunioni dette “congregazioni generali”, in cui i cardinali parlano, capiscono a chi si può affidare una scelta così irreversibile. Si giura di mantenere il segreto assoluto su tutto ciò che accadrà, si consegnano i telefoni, si viene scortati nella Domus Sanctae Marthae, dove si alloggia fino all’elezione. Dentro, ogni giorno, quattro votazioni: due la mattina, due il pomeriggio. Schede scritte a mano, piegate, depositate in un’urna. Ogni voto è letto a voce alta, ogni scrutinio seguito da una fumata: nera se non c’è risultato, bianca se c’è il Papa. Ma la realtà è che il cuore del conclave non sta nei voti. Sta nei corridoi. Nei segnali lanciati e captati, nei piccoli gruppi che si formano e si disfano. Non ci sono candidati ufficiali, ma ci sono nomi che circolano. C’è anche chi aspetta, chi osserva, chi capisce che forse – come accadde a Bergoglio – non sarà il più votato a ogni scrutinio, ma quello su cui, dopo il quinto o il settimo, tutti si arrendono con un senso di inevitabilità. Non perché sia il migliore, ma perché è l’unico che non divide. La storia del conclave è piena di episodi che spiegano questa logica silenziosa. Nel 2013, quando fu eletto Francesco, non c’era un favorito chiaro. Bergoglio era stato il secondo nel conclave del 2005 – quello che elesse Ratzinger – ma sembrava fuori gioco. Eppure, mentre passavano le votazioni, cominciò a crescere. Non divideva. Venne fuori come quei nomi che, per un effetto di maturazione collettiva, diventano la sintesi accettabile. Quando fu eletto, pioveva su Roma. Uscì sul balcone e disse “Buonasera”. Non parlò da capo di stato. Parlò da pastore.
Il conclave più lungo della storia fu a Viterbo, nel 1268: tre anni senza risultato. I cittadini, stanchi, murarono il palazzo e scoperchiarono il tetto per costringere i cardinali a decidere. Così nacque l’obbligo di reclusione, il cum clave. Oggi nessuno pensa che durerà così. Ma il rischio di stallo esiste, sempre. La soglia dei due terzi non si può abbassare, nemmeno dopo settimane. Il Papa deve essere una figura di unità. Non c’è maggioranza semplice, non c’è ballottaggio. Si vota finché non si trova un nome che tenga insieme tutto. E’ una decisione che nessuno può controllare: nessun algoritmo, nessuna pressione, nessuna candidatura. Solo 119 uomini che votano, pregano, aspettano. E a un certo punto smettono di votare e cominciano a capire.