
Immagine generata da ChatGPT
FOGLIO AI
Mostro mangia-energia? L'allarme sul consumo elettrico dell'AI è serio ma non nuovo
Tra timori climatici e progresso tecnologico, il dibattito sull’energia dell’IA svela più le nostre insicurezze che i suoi reali pericoli: non è l’intelligenza artificiale a spaventarci, ma il cambiamento che ci costringe a governare
Da qualche giorno gira sui giornali una storia che sembra confezionata su misura per accendere la nostra ecoansia e spegnere ogni entusiasmo tecnologico. L’intelligenza artificiale, dice il Guardian, consumerà entro il 2030 tanta elettricità quanto il Giappone. I datacenter? Peggio dell’acciaio, del cemento, della chimica messi insieme. Succhieranno più energia delle nostre lavatrici, dei nostri frigoriferi, dei nostri sogni. Anzi: forse faranno risorgere il carbone. E perfino la CO2 starà lì a guardare, sconsolata.
Ora, che l’IA consumi energia, nessuno lo nega. Che sia necessario ripensare la sua efficienza, anche. Ma questa narrazione così selettivamente drammatica ci dice qualcosa di più interessante non sull’IA, ma su noi. Perché questo allarmismo ambientale è spesso il travestimento gentile (e green) del rifiuto di un cambiamento che non sappiamo governare. Quando non ci piace dove va il mondo, lo accusiamo di inquinare.
Siamo già passati di qui. Ogni volta che una tecnologia si affaccia con troppa potenza – internet, il cloud, i bitcoin, i robot – si ripete lo stesso rito: il sospetto, la colpa, il panico ecologico. L’intelligenza artificiale non sfugge a questo destino. E siccome è anche un po’ inquietante (ci risponde, ci capisce, ci imita), diventa il bersaglio perfetto: troppo potente per non temerla, troppo utile per combatterla frontalmente. E allora si attacca di lato, con la clava dell’ambiente.
Ma è davvero tutto così nero come lo dipingono? No. Lo stesso rapporto dell’Iea citato dal Guardian dice che l’IA potrebbe migliorare l’efficienza energetica, aiutare le reti elettriche a integrare le rinnovabili, ottimizzare trasporti, scoprire nuovi materiali e ridurre gli sprechi industriali. E lo dice non un blog tecno-entusiasta, ma l’Agenzia internazionale dell’energia. Il punto è che ogni innovazione, come ogni adolescente, cresce disordinata. All’inizio consuma di più, sbaglia strada, si fa notare per i difetti. Ma poi impara. Anche le auto elettriche sembravano un lusso per pochi e ora sono un pilastro della transizione ecologica. Anche internet sembrava energivoro: oggi evita milioni di spostamenti inutili. Con l’IA sarà lo stesso, se lo vogliamo.
E qui arriva il vero nodo. Non è l’IA il problema, ma come la vogliamo usare. E’ una tecnologia potentissima, sì, ma siamo ancora noi a decidere dove indirizzarla. E se non vogliamo che l’energia venga dal carbone, possiamo investire nelle rinnovabili. Se non vogliamo che prosciughi le falde acquifere, possiamo sviluppare sistemi di raffreddamento più intelligenti. L’IA può persino aiutarci a farlo. Ma serve volontà politica, non disfattismo.
In fondo, questo allarme dice più di noi che di lei. L’intelligenza artificiale ci obbliga a guardare il mondo com’è: interconnesso, affamato di dati, accelerato. E noi, spesso, non ci sentiamo all’altezza. Allora cerchiamo di rallentare il futuro, accusandolo di scarsa sostenibilità. Ma dietro il “no” all’IA, si nasconde spesso un “no” a un mondo che cambia troppo in fretta per il nostro gusto. La buona notizia? Possiamo ancora scegliere. Possiamo decidere di fare dell’IA una leva per un mondo migliore. Non perfetto, ma meno sprecone. Non magico, ma più razionale. Non un paradiso, ma un progresso. Basta smettere di vedere nei datacenter solo dei mostri e cominciare a vederli per quello che sono: specchi. Riflettono noi. E se l’immagine non ci piace, forse non è colpa dello specchio.